“Voci di dentro”, uno studio teatrale che ha visto la partecipazione di un gruppo di ristrette della Casa di reclusione femminile della Giudecca e che sarà portato in scena il 25 novembre, alle 16, proprio all’interno del carcere dell’isola veneziana, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Una data, questa, istituita a ricordo del 25 novembre 1960 quando, nella Repubblica Domenicana, le sorelle Mirabal vennero uccise poiché accusate di aver denunciato gli orrori del dittatore dell’epoca e la cultura maschilista che li alimentava. E dal 1999 istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite in ricordo di tutte le vittime di violenza, per combattere le discriminazioni e le disuguaglianze di genere.
Le recluse coinvolte nel progetto hanno partecipato in maniera propositiva al laboratorio teatrale permanente “Passi sospesi” di Balamòs Teatro, attivo in città ormai da anni e portato proprio all’interno degli Istituti penitenziari della città d’acqua attraverso la direzione di Michalis Traitsis e la collaborazione artistica di Patrizia Ninu. Sociologo, regista, pedagogo teatrale e direttore artistico di Balamòs, nonché responsabile di “Passi sospesi”, Traitsis si pone come obiettivo quello di guardare ad una prospettiva culturale – proprio attraverso lo strumento dell’arte teatrale – nell’approccio alle tematiche legate alla reclusione e all’esclusione, arrivando ad intendere la cultura come testimonianza, confronto, memoria, rete nei territori e tutela delle fasce più deboli della società.
Cosa si può fare per contrastare il fenomeno della violenza? E cosa poter fare prima che sia troppo tardi? Questi alcuni degli interrogativi alla base del progetto, nella consapevolezza di come il teatro non abbia la pretesa di trovare risposte, quanto piuttosto di contribuire ad attivare un lavoro di riflessione, introspezione e cambiamento che, pur con difficoltà e fatica, le persone recluse hanno fatto su loro stesse, sui pregiudizi, sugli stereotipi e sul come ritrovare un nuovo modo di essere, mettendo da parte una rabbia e una frustrazione connesse al passato. Per entrare nel dolore senza maschere, restituendolo in una narrazione.