Sembra una devozione ormai scomparsa, ma l’ultimo capitello veneziano e stato aggiunto questo sabato 26 maggio, in calle Correr, un ramo di calle Emo, dietro alla chiesa di San Leonardo, a Cannaregio.
Don Stefano Costantini, parroco di Sant’Alvise e San Marcuola, ha benedetto l’immagine alla presenza di un piccolo gruppo di abitanti della zona, tra cui il fotografo Luigi Ferrigno, di Valentino Cunego, restauratore di Bassano, e di Alberto Alberti, presidente dell’associazione “Masegni e Nissioeti,” promotore dell’iniziativa: «Abbiamo seguito le regole e chiesto il permesso. Ringraziamo la dottoressa Basso e dottor Valenti degli uffici della sovrintendenza».
Un bellissimo Cristo. Cioè un povero Cristo, mutilato di braccia e gambe, forse del 1400, ma Pietro Fabbian e Fiorenzo Cuman lo datano al 1800. Nel loro libro intitolato “Capiteli di Venezia” del 1988, i due autori segnalano la piccola scultura. E sottolineano: “È molto malandato”. E per quanto riguarda l’edicola lignea: “Occorre sostituirla”.
Questo esattamente trent’anni fa. I tempi di Venezia. Basta guardarlo da vicino questo Cristo: ha un’espressione rassegnata, il volto timidamente girato, quasi a non voler guardare lo scempio di cui è stato fatto oggetto. Una preziosa occasione di meditazione, posta lì sulla via. Ispira pietà, anche in chi non crede. Fortemente simbolico, in una Venezia violentata.
E c’è chi ha visto in esso l’immagine della famosa preghiera, “Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani per fare oggi il suo lavoro. Cristo non ha piedi…”. Forse, dice Alberto Alberti, gliela appenderanno vicino.
I fautori Valentino Cunego, restauratore di professione che viene a Bassano a Venezia ogni settimana, ha rifatto il capitello in pino canadese con finitura a olio di lino cotto. «Per me il restauro significa rinascita», dice. «Penso sempre al recupero della passione e della fede di chi ha formato questi oggetti a suo tempo. Questo Cristo mi stava a cuore da tempo». Il presidente Alberto Alberti aggiunge: «Abbiamo pensato al valore di un oggetto artistico, ma anche alla sua valenza spirituale che per noi si aggancia al rispetto. I capitelli servivano in passato anche ad allontanare gesti di criminalità, soprattutto negli angoli bui e nei sottoportici».
L’associazione “Masegni e Nissioeti” si è imposta all’attenzione della città negli ultimi anni per le azioni dimostrative a difesa del decoro urbano, come pulizia di muri, ridipinture di pozzi, fontane e saracinesche o l’eliminazione dei lucchetti dai ponti.
I soci vengono guardati con ammirazione ma anche con un po’ di sufficienza: si sa, a ripulire un muro ci si mettono tre ore, a risporcarlo solo due minuti. E se stessero solo fornendo lavagne pulite per nuovi sgorbi?
In realtà, il gruppo crede nella teoria delle finestre rotte, formulata qualche decennio fa, che osservava che una finestra rotta non fa che invitarne delle altre, mentre anche un poco di rispetto invita nuovo rispetto. Le centinaia di capitelli che i Veneziani appendevano alle vie erano proprio il segnale esterno della loro pietas e di un senso civico assorbito anche dai muri. Chissà che non se ne vedano spuntare o ripulire di nuovi. Forse il prossimo a Santa Maria Formosa, con l’aiuto della società di mutuo soccorso dei Carpentieri e Calafati.
Ilaria Serra