Cosa fare di fronte alla questione epocale dei migranti? È la domanda su ci si impernia una delle riflessioni che il Patriarca Moraglia proporrà a chi converrà domenica 16 luglio, alle ore 19, nella chiesa del SS. Redentore, alla Giudecca.
«La distinzione fra migranti rifugiati e migranti economici non è facile, non è scontata, non convince», rimarcherà mons. Moraglia, della cui omelia qui anticipiamo alcuni stralci.
«Qui la politica non può più balbettare, deve parlare un linguaggio chiaro e avere un progetto di cui – fino ad oggi – è stata priva e ci pare ancora priva; i migranti e chi li accoglie devono sapere all’interno di quale progetto politico e sociale si muovono. Chi opera sul territorio lo domanda alla politica nazionale. La gente sente l’urgenza di politiche che non siano slogan o inconcludenti annunci ma espressione di un impegno reale da parte di tutti – Italia, Europa, Onu – con animo solidale e, insieme, fondato su un concreto e sano realismo. Sì, solidarietà e realismo devono andar insieme. Evitando approcci ingenui o ideologici dobbiamo aprirci alla realtà che ci sta innanzi poiché – anche se ardua – è la realtà di fronte alla quale siamo chiamati a prender posizione e decisioni che siano umanamente e cristianamente degne».
L’incontro verso, sottolineerà il Patriarca Francesco, «avviene tra persone e culture che si impegnano a dialogare fra loro, a percorrere strade non facili e che sanno tener insieme diritti e doveri. Sì, diritti e doveri. Bisogna riscoprire i principi della reciprocità, dell’accoglienza, della solidarietà, della legalità, della certezza del diritto, della pena volta a redimere, senza dimenticare l’essenziale e pieno rispetto della cultura, delle leggi e delle tradizioni del Paese ospitante».
«E in quanto abitanti della città tutti abbiamo diritto di sapere come la pensi, sui temi sensibili del vivere comune, chi abita vicino e accanto a noi. Ad esempio sulla donna e sulla libertà religiosa e di coscienza, sui limiti dello Stato nei confronti del cittadino, su come viene considerato l’altro…».
Esigenze di fondo da trasformare in progetto politico e in prassi culturale e sociale. Anche a Venezia: «Si tratta di lavorare per una città solidale, capace d’esprimere la propria storia in modo inclusivo, e che non viva solo di antichi fasti e ricordi. Tale città non teme il contesto pluralista e non cede a forme di relativismo perché si apre ad una pluriformità che non prescinde dalla ricerca libera e appassionata della verità».
Concluderà il Patriarca: «Specialmente Venezia – unica tanto da esser considerata nei secoli, e ancor oggi, “ponte” tra l’Occidente e l’Oriente – deve vivere la sua identità in modo inclusivo ed essere città accogliente che sa conservare viva la propria storia. La festa del Redentore ci aiuti ad essere intelligenti e accoglienti nel tempo in cui siamo chiamati a vivere come coloro che sanno d’esser già salvati ma ancora protesi nella speranza, fondata in Gesù risorto».