“Ama, perché l’amore è l’unica cosa che ti riempirà la vita”. È la frase, questa, che Elisa ha scelto per il suo profilo WhatsApp: un breve messaggio di presentazione che, anche per chi non la conosce, fa comprendere appieno che cos’abbia spinto lei e il marito Andrea ad intraprendere una scelta di vita importante che, forse, sarebbe più corretto definire una vera e propria vocazione. Perché mamma e papà Tripodi – genitori 35enni di Ferdinando, Sofia ed Anna Chiara – si sentono chiamati ad offrire il proprio amore non solo ai loro figli di 13, 11 e 4 anni, ma anche a chi vive nella difficoltà e a chi non conosce ancora il calore e l’affetto familiare, tanto da divenire – da circa un anno – una famiglia affidataria di pronta accoglienza.
Donare per ricevere. Residenti nel sestiere di Castello, a Venezia, Elisa e Andrea raccontano di aver vissuto anni complicati che non hanno tuttavia ostacolato il loro progetto. Anzi, è stato proprio quando Andrea è rimasto senza lavoro ed Elisa era in maternità, che in entrambi è maturato sempre più il desiderio di accogliere i bimbi in difficoltà. «Ci sono diversi tipi di affido; noi abbiamo dato disponibilità per la pronta accoglienza e la nostra è l’unica famiglia, in città, a farlo. Quando c’è una necessità urgente che riguarda bambini dagli 0 ai 2 anni circa, ci chiamano», spiega Elisa, sottolineando come le dimensioni della propria abitazione non permettano l’affidamento di bambini di una fascia d’età maggiore. E la culla pronta nella stanza, è il simbolo di un’attesa che potrebbe essere interrotta in qualsiasi momento della giornata, come nel caso del bambino affidato ai Tripodi nell’arco di 24 ore e rimasto in famiglia il tempo necessario per trovargli una collocazione più stabile. «Per tutti noi, anche per i nostri figli, è stata una bellissima esperienza. Quello che abbiamo ricevuto è più di ciò che abbiamo dato. L’affido – aggiunge – significa fare un pezzettino di strada insieme a quel bambino, mettere il suo bene davanti al tuo, condividere la sua vita con la tua famiglia. Non si tratta di accogliere i figli che tu vuoi, bensì quelli che hanno più bisogno».
Restare a Venezia. Ma il sogno di Elisa e Andrea va ben oltre, fino alla realizzazione di una Casa Famiglia che possa identificarsi nell’ideale promosso (e conosciuto in tutto il mondo) dall’associazione “Comunità Papa Giovanni XXIII”, nata dal carisma di don Oreste Benzi. «Ci sentiamo chiamati a farne parte e quindi ad abbracciarne tutti i punti, come la condivisione diretta con gli ultimi; è un’associazione nella quale abbiamo riconosciuto il nostro ideale», afferma Andrea, spiegando come lui e la moglie, dopo circa un anno e mezzo, siano ormai al termine di un percorso che la “Papa Giovanni” chiama “periodo di verifica vocazionale”. Il cuore, però, è come se avesse dato le risposte giuste già da tempo. «Essere Casa Famiglia cosa vuol dire? Dipende da progetto a progetto: può capitare – continua – il bambino che si ferma anni, come quello che si ferma poche notti. Per il momento noi siamo orientati all’accoglienza dei bambini ma, la “Papa Giovanni” ce lo insegna, possono essere accolti anche anziani, ex tossicodipendenti o ragazze tolte dalla strada. Davanti all’egoismo imperante, è bello poter dare una risposta alternativa». Servono almeno 150 metri quadri per dar vita ad una Casa Famiglia e i Tripodi – lo sostengono con determinazione, nonostante le difficoltà che stanno riscontrando – non vogliono abbandonare la propria città per poter concretizzare il loro progetto. «Riconosciamo che Venezia ha uno stile di vita che altrove non c’è: i nostri figli giocano all’aperto e frequentano il patronato dei Salesiani. Con la nostra scelta – concludono Elisa e Andrea – vorremmo dimostrare come la nostra città non sia morta e che una direzione diversa rispetto a quanto sta avvenendo la si può prendere. Fare del bene è contagioso quindi chissà che altri veneziani seguano il nostro esempio». L’appello è stato lanciato, chissà che ora qualcuno si faccia avanti.
Marta Gasparon