Sessant’anni di storia festeggiati qualche giorno fa nel patronato dei Carmini – dove tutto ha avuto inizio, divenendo poi la sede ufficiale del gruppo – alla presenza di amici, ex coristi e persone che in questo lungo arco temporale hanno continuato a seguire l’attività con affetto e stima. Di concerti pubblici il coro Fanis – sempre diretto dal maestro Giorgio Tiozzo al di là di un paio di brevi parentesi, compresa quella in cui il gruppo si è fermato per poi ripartire – non ne farà più, ma è già pronto a reinventarsi.
«Ormai abbiamo una certa età – evidenzia Tiozzo -. Ma comunque continueremo a cantare: la nostra è un’associazione culturale, dunque porteremo avanti iniziative di questo tipo, oltre che legate al sociale. Vedremo come organizzarci, avremo modo di parlarne fra di noi». Sostenere i ritmi serrati di una volta non è più fattibile, ma il ricordo di ciò che il coro ha costruito nel proprio percorso musicale oggi è più vivo che mai: una quindicina i concerti organizzati normalmente nel corso dell’anno e un gemellaggio costante con i cori di decine di altre località, che hanno permesso non solo di entrare a stretto contatto con culture e tradizioni differenti, ma anche di conoscere e imparare i canti di quei luoghi con i quali si è instaurato un contatto.
«Tutto è cominciato da 4-5 amici che, stando insieme e giocando a carte, si ritrovavano spesso anche a cantare fra loro. Da lì l’idea di mettere in piedi un gruppo via via aumentato nel numero dei componenti: erano i primi degli anni Sessanta, quando i cori di montagna avevano un certo richiamo». Se inizialmente i membri erano soltanto uomini, le porte poi sono state aperte anche alle donne, dando vita ad un gruppo di voci miste di circa 25 persone, perlopiù veneziane e in parte anche mestrine. «Il nostro è un bel coro, con persone altrettanto belle che si sono date da fare», spiega Tiozzo, sottolineando come il repertorio, quando le voci erano esclusivamente maschili, fosse interamente orientato ai canti di montagna. Ma poi ha abbracciato anche brani popolari, veneziani, o tratti da quelli ascoltati durante i numerosi viaggi.
«Abbiamo sempre cercato un contatto con cori che avessero una determinata specificità, per conoscere altri modi di cantare. È sempre stato qualcosa di molto arricchente. Penso a quando siamo andati in Abruzzo, dopo il terremoto, in Sardegna o a Rovigno. Oppure a Monaco, Parigi, Praga ed Helsinki. Tante realtà diverse che abbiamo anche ospitato in città, come nel caso del coro interconfessionale proveniente da Gerusalemme, il Jasmine: i bambini si sono tenuti per mano intonando il Padre Nostro in arabo. Un momento commovente».
Costante è stato l’impegno messo in campo a favore delle missioni, per le quali il coro Fanis ha raccolto cifre consistenti proprio durante i suoi concerti. Come pure quello tra le scuole elementari del territorio, portato avanti per una decina di anni, fino allo scoppio della pandemia, con l’obiettivo di educare i piccoli alunni al canto. «Raccontavamo loro le leggende ladine e veneziane. Oggi? I ragazzi non cantano più e girano per strada con le cuffie nelle orecchie. Ricordo poi che nel giorno di Santa Cecilia, protettrice della musica, insieme ad altri gruppi cantavamo alla Salute, dopo la Messa». Un ricco repertorio, quello costruito nel corso di 6 decenni, fatto di amicizia, passione e voglia di stare insieme. Ed ora racchiuso anche in un libro ricco di fotografie, che ripercorre la lunga e intensa strada in note compiuta fino a qui.
Marta Gasparon