Ha raggiunto i 25 anni di attività il Gruppo della Carità Sant’Elena. Il gruppo è nato all’interno della parrocchia di Sant’Elena e dal 2010 è diventato riferimento per il Vicariato di San Marco e Castello. Anche in seguito alla riorganizzazione dei vicariati sul territorio della diocesi, molti volontari di altre parrocchie hanno continuato la collaborazione con il nucleo costitutivo di Sant’Elena. Alessandro Sibilla, referente del gruppo, spiega il principio che li guida: «Nella carità è importante instaurare con l’altro un rapporto di crescita e di conoscenza personale».
I volontari, tra le tante iniziative, distribuiscono generi alimentari ad alcune persone segnalate dai servizi sociali, accompagnano alle visite specialistiche gli anziani che ne fanno richiesta, a volte prestando anche alcune carrozzine. Inoltre svolgono una visita settimanale alla casa di riposo di San Lorenzo: «Portiamo musica e allegria e organizziamo attività per i degenti, per esempio la tombola» racconta Sibilla.
Da molto tempo il gruppo collabora con il Comune per offrire opportunità di lavoro a chi riceve il reddito di inclusione attiva (Ria), un sussidio comunale affiancato a un’attività di inserimento nel tessuto sociale e lavorativo. Inoltre, grazie ad accordi con il Ministero della Giustizia, è titolato a far svolgere anche lavori socialmente utili. «È un’importante occasione di incontro all’interno di un più ampio progetto di educazione», commenta Sibilla.
Non ultimo è da ricordare l’impegno del gruppo a visitare e animare la Messa nella casa circondariale di Santa Maria Maggiore: «Abbiamo cominciato otto anni fa, vedendo un articolo proprio su GV che ricordava ai gruppi la possibilità di partecipare alla Messa con gli ospiti della casa circondariale – racconta Sibilla – e da allora ogni anno (a parte durante il periodo della pandemia) partecipiamo a una Messa con loro». Secondo il regolamento di Santa Maria Maggiore, infatti, non è possibile per un gruppo recarsi in visita più di una volta all’anno. «Dopo la celebrazione ci presentiamo e, con chi vuole, ci disponiamo in cerchio per discutere insieme un tema – spiega Sibilla – per esempio, quest’anno, il 12 gennaio a partire dalle letture abbiamo parlato con loro di cosa possa voler dire “benedire”: parlare bene, condividere, ma anche portare speranza per chi, come loro, si trova chiuso fisicamente in un luogo, ma anche per chi è “chiuso” in una situazione difficile». Sibilla sottolinea che questi momenti sono significativi sia per gli ospiti della casa circondariale sia per il gruppo che si reca a far loro visita: «Si mettono al centro il rapporto con l’altro e la condivisione. Loro hanno modo di confrontarsi con qualcuno che viene dall’esterno e per noi è un “tuffo nella povertà”, un’occasione per seguire il Vangelo».
Camilla Pustetto