In riferimento alle notizie, riportate su alcuni media e social network, relative all’inaugurazione di un cocktail-bar denominato “Chapel Club” nell’edificio dell’ex chiesa veneziana di S. Maria della Misericordia, una nota del Patriarcato di Venezia segnala e precisa quanto segue.
L’edificio in questione, da molto tempo chiuso al culto e già ridotto ad uso profano non indecoroso, non è mai stato di proprietà o disponibilità della Diocesi o della Curia Patriarcale di Venezia (che non può, quindi, averla “venduta”); dal 1973 è proprietà di privati e, in precedenza, apparteneva ad un ordine religioso (Frati Servi di Maria).
Spiace però rilevare che tale edificio – pur non essendo più “chiesa” – sia ora proposto come spazio per un cocktail-bar e spiace osservare le immagini che lo reclamizzano secondo un allestimento che utilizza i luoghi liturgici dell’ex chiesa come suppellettili adattate alla sua nuova funzione; tra le immagini pubblicate si vede, ad esempio, l’altare adibito a “credenza” per appoggiare shaker e bottiglie, accanto a quello che una volta era il tabernacolo.
Ben consapevoli della complessità e della delicatezza di ciò che riguarda la conservazione e il riutilizzo di luoghi di culto non più destinati alla liturgia, resta comunque il rammarico di veder richiamato il contesto originario e sacro di quel luogo – nel quale il pane e il vino, cibi eucaristici, un tempo offerti e consumati avevano ben altro rilievo e significato – solo in funzione e ad interesse esclusivo del suo nuovo uso commerciale.
E ci si chiede anche se quest’ultimo corrisponda pienamente a quei doveri di attenzione, salvaguardia, tutela, decoro e – in una parola – rispetto autentico che, tutti e sempre, si dovrebbe avere di ogni luogo o bene artistico ed architettonico, specialmente quando esso risulta di così alto e particolare valore simbolico.