Il lavoro in carcere, un ponte con il mondo esterno e uno strumento concreto di riabilitazione, capace di alimentare una visione positiva del futuro, innescando un circolo virtuoso. Prosegue instancabile la missione della cooperativa sociale veneziana “Il Cerchio”, nata nel 1997 con l’obiettivo di individuare e combattere ogni forma di emarginazione e discriminazione. Due le attività in cui sono inserite alcune delle ristrette della Casa di reclusione femminile della Giudecca: la lavanderia industriale, che ne coinvolge una ventina, e il laboratorio sartoriale, dove vi lavorano dieci di loro. Attività che entro un paio di anni avranno la possibilità di ampliare i propri spazi, grazie al previsto trasferimento nell’ala 17 del carcere, di almeno quattro volte più ampia dell’area attuale, destinata ad essere dismessa ed oggi concessa in comodato d’uso dalla direzione.
«I lavori di ristrutturazione della nuova ala sono già partiti, come quelli della facciata della Casa di reclusione in vista della visita di Papa Francesco», riferisce Adriano Toniolo, che si occupa delle attività all’interno del carcere per conto della cooperativa. I preparativi per la visita del Papa il prossimo 28 aprile coinvolgono un po’ tutte le realtà del carcere femminile, compresa la cooperativa che sta lavorando alla progettazione e realizzazione delle divise che un gruppo di ristrette sarà chiamato ad indossare per accompagnare i visitatori al Padiglione della Santa Sede che si troverà proprio all’interno della casa di reclusione della Giudecca.
Lavoro per 280 persone, in svariati ambiti. «Il 30% dei nostri dipendenti sono persone socialmente svantaggiate. Nell’ambito del centro storico “Il Cerchio” arriva ad assumere 280 dipendenti». Lavoratori impegnati nelle mansioni più disparate, come il servizio di guardiania alle bocche di porto, la manutenzione del verde in città, il supporto fornito a Veritas nella nettezza urbana e la gestione dei presìdi sui pontili Actv. Attività alle quali si affiancano quelle condotte all’interno del carcere femminile, definite da Toniolo «importantissime» per le ristrette, che il più delle volte non hanno mai firmato prima un contratto o visionato un cedolino paga. «Non conoscono le norme sulla sicurezza e non hanno mai lavorato interagendo con altre colleghe. Spesso sono straniere, con una conoscenza limitata dell’italiano, e c’è anche chi mostra una diffidenza iniziale nel firmare il contratto: temono di ritrovarsi a lavorare gratis». Piano piano si arriva ad instaurare un rapporto di fiducia forte, che ha risvolti positivi anche in quello con le altre ristrette. «Grazie allo stipendio riescono a mandare un po’ di soldi alle loro famiglie e a mantenersi per le proprie spese», osserva Toniolo, sottolineando come nell’arco della settimana i ritmi lavorativi – che si snodano dal lunedì al venerdì, salvo straordinari, a partire dalle 8.30 circa – siano organizzati come una normale giornata di qualsiasi altro dipendente.
L’unica lavanderia industriale a Venezia. «La nostra lavanderia industriale, istituita nel 2004, è l’unica presente in centro storico, con un reparto ad acqua e un altro a secco. Stiamo investendo nell’acquisto di nuovi macchinari per il lavaggio, in modo da iniziare ad utilizzare l’ozono che permette di ridurre la temperatura da 90 a 32-34 gradi e l’impatto sull’ambiente. Le lavoratrici che hanno il permesso di uscire in fondamenta, ritirano lo sporco che arriva e lo portano all’interno della lavanderia, riconsegnando poi il pulito». Un’attività ormai pienamente inserita nel contesto cittadino, nel mondo della grande hotellerie e non solo. «Anche se le nostre tariffe non sono del tutto concorrenziali, i clienti sono disposti a sostenerci in quello che facciamo», sottolinea Toniolo.
Stoffe raffinate per creazioni fantasiose. Per quanto riguarda il laboratorio sartoriale le ristrette, riferisce Toniolo, sono solite maneggiare tessuti anche pregiati, come quelli di Rubelli, Bevilacqua e Fortuny. E più la stoffa è originale e raffinata, più le donne rivelano un attaccamento particolare al capo da loro realizzato dall’inizio alla fine. Un aspetto che ha conseguenze positive anche sull’aspetto: abbandonano la tuta da ginnastica e desiderano presentarsi al lavoro truccate e ben pettinate. «Due persone esterne le seguono, insegnando loro i segreti del mestiere. Abbiamo anche iniziato un percorso col “Vendramin Corner” che consenta alle donne di farsi riconoscere le ore sartoriali nell’alternanza scuola-lavoro, nell’ottica dell’ottenimento del diploma». Quanto creato rientra poi nel brand Banco Lotto n.10, il cui negozio si trova in campo Sant’Aponal. E presto saranno venduti anche on line. I capi sono stati portati anche in passerella e, come da tradizione, fatti provare e scegliere alle madrine della Mostra del Cinema. «La cooperativa non sfrutta il carcere per lucrare», ma offre un’opportunità preziosa per il reinserimento nella società a pena conclusa. <+firma ct_GV>Marta Gasparon