I sogni si possono realizzare, con fatica, sudore e sacrificio. E anche quando sembrano irraggiungibili, non ci si deve mai arrendere. Francesca Bettrone rappresenta tutto questo. Originaria del Lido, 26 anni, la pattinatrice tesserata per il Cosmo Noale (l’unica società della provincia di Venezia) parteciperà con la Nazionale azzurra ai prossimi Giochi Olimpici invernali di PyeongChang in Corea del Sud, che si svolgeranno dall’8 al 25 febbraio. Un sogno raggiunto, conquistato dopo aver mancato per appena un millesimo di secondo la qualificazione alle Olimpiadi di Sochi, quattro anni fa. E nonostante i recenti problemi alla schiena non le abbiano permesso di qualificarsi sulle sue distanze preferite: i 1000 e i 1500. Francesca gareggerà infatti sui 500 metri.
Da casa i genitori Barbara e Fabio, la sorella Federica e tutto il Lido tiferanno per lei. Francesca è figlia d’arte e ha seguito le orme della mamma Barbara Castelli, campionessa europea nel pattinaggio a rotelle. Ma questo non significa aver avuto la strada in discesa, anzi. Perché per inseguire il sogno di partecipare ad un’Olimpiade, Francesca ha abbandonato le rotelle nel 2010, ripartendo da zero sul ghiaccio. E otto anni dopo il sogno si è avverato.
Partiamo dalla cronaca più recente e cioè dall’incontro dell’intera squadra olimpica con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Cosa hai provato? E’ stato per me un grande onore. Essere ricevuti al Quirinale, con tutta la Nazionale Italiana, è stata un’emozione difficile da descrivere. Per una volta ci siamo sentiti importanti anche noi che pratichiamo sport considerati minori e che quindi non godono di grande ribalta.
Cosa significa per te partecipare all’Olimpiade?
Significa anzitutto ricordarsi che dietro quella bandiera italiana, il tricolore, c’è tutto un Paese e ci sono le nostre famiglie che tiferanno per noi.
Quale è il tuo obiettivo?
“La gara a cui punto di più è sicuramente la “mass start”, che sarà proprio l’ultimo giorno dell’Olimpiade, il prossimo 24 febbraio. L’obiettivo che mi prefiggo assolutamente è quello di entrare nella “top 6” olimpica. Un piazzamento di questo livello, mi consentirebbe, tra l’altro, di avere quel minimo introito economico che mi permetterebbe di continuare a praticare questa mia passione. Il sogno, invece, è ovviamente quello di conquistare una medaglia.
Raccontaci come è maturata la scelta di passare dalle rotelle, dove avevi comunque ottenuto grandi successi, al ghiaccio.
Era il 2010 e come altri “colleghi” ho provato a fare questa scelta nel tentativo di emergere nello sport. Il pattinaggio sul ghiaccio è uno sport olimpico, con tutto ciò che ne consegue in tema di visibilità e solidità del movimento sportivo, le rotelle purtroppo ancora no. Quindi, non volendo abbandonare il pattinaggio, ho provato a fare questo salto.
Si tratta di due discipline abbastanza simili…
A prima vista questo è ciò che sembra. In realtà, una volta in pista ti accorgi che non è affatto così. Il movimento tecnico è completamente diverso. Nel ghiaccio il pattino ha la lama, che è tutt’altra cosa rispetto alle rotelle.
Quali sono state le difficoltà principali?
Anzitutto logistiche. Raggiungere il Centro tecnico Federale a Baselga di Pinè, dove ci sono i raduni della Nazionale, dal Lido di Venezia è già un’impresa. Poi c’è stato il primo periodo di ambientamento. Sono passata dalle rotelle, dove avevo ottenuto un buon numero di successi, al ghiaccio dove, inizialmente, ero agli ultimi posti. Imparare ad andare sul ghiaccio e ottenere risultati importanti, non è una cosa semplice né un passaggio scontato e automatico. Ci vuole il suo tempo.
Come hai risolto?
La svolta è arrivata non appena ho preso la patente. Questo mi ha permesso di essere finalmente autonoma e indipendente. Ma devo ringraziare la mia famiglia per il sostegno, e mio nonno in particolare che mi ha sempre accompagnato in pista, anche tutti i giorni, fino a quando ha potuto.
In questi momenti difficili chi è stato il tuo punto di riferimento?
Il mio allenatore Ennio Mumeni, che per me è molto di più di allenatore, oltre, naturalmente, alla mia famiglia che mi ha sempre sostenuto con sacrifici. Ennio è una persona speciale, ed è merito suo se oggi sono ancora qui, in pista a gareggiare, se non ho mollato e parto per un’Olimpiade. Era il mio tecnico, ma ora è anche una sorta di mio consigliere personale».
C’è un episodio particolare che potrebbe rappresentare meglio un rapporto così intenso?
Siena, 2009: la vittoria del campionato italiano quando pattinavo a rotelle. Prima della gara lui mi aveva detto “ti chiedo di fare una sola cosa, però falla: parti e inizia a spingere a tutta a meno due giri dalla fine, non all’ultimo”. Ricordo che anche pochi secondi prima del via avevo gli occhi sgranati e pensavo che non avrei mai seguito quel consiglio, che mi sembrava assurdo. Invece mi sono fidata, è arrivato il titolo e abbiamo vinto. Poi sono arrivati anche altri successi e medaglie, nelle rotelle, in competizioni europee e mondiali, ma nulla mi ha emozionato come quel titolo.
Come mai hai iniziato a pattinare?
Al Lido nella società Hockey Club Venezia, poi diventata Roller Club, seguendo un po’ le orme di mia mamma. Nelle rotelle, nel 2007 ho vinto nella categoria “juniores” il titolo europeo, un secondo posto ai Campionati del Mondo, l’anno successivo quattro medaglie di bonzo ai mondiali.
Torni spesso al Lido di Venezia?
Purtroppo non ci sono mai. Ma il Lido e la sua spiaggia sono il mio “luogo del cuore” , dove ci sono i miei amici di sempre, quelli su cui puoi sempre contare e con cui sono più unita che mai. Alcuni me li porto dietro dall’asilo. E sono i primi a gioire delle mie vittorie e a correre davanti al televisore le rare volte che ci mostrano in tv, essendo noi considerati uno sport “minore”.
Che obiettivi hai dopo le Olimpiadi?
Riuscire ad essere tesserata per un Corpo militare, perché è l’unica possibilità che ti permette di avere un certo introito e quindi di poter continuare. Altrimenti mi troverei costretta a lasciare. D’altro canto ho 26 anni e non è bello non avere un minimo di indipendenza. Purtroppo nel nostro sport non c’è nessuno sponsor che ti consenta non dico di vivere, ma almeno di coprire le spese.
Il sogno olimpico come si alimenta?
Devo ringraziare la Cosmo Noale, la mia società che mi ha dato una mano, e l’allenatore Maurizio Marchetto che ha creduto nelle mie possibilità.
Lorenzo Mayer