«Vi porterò tutti con me, nel mio cuore, perché ormai fate parte della mia vita». È un saluto commosso all’intera comunità marciana, quello di suor Lotis Salce, ricco di gratitudine per quel senso di “famiglia” che le tante persone incontrate in questi anni di permanenza a Venezia sono riuscite a donarle.
«Sono stati quattro anni bellissimi – racconta suor Lotis, già superiora della congregazione delle Suore Francescane Elisabettine Bigie, presente in città, a pochi passi da piazza San Marco, dal 1970 –. Ho vissuto un’esperienza ricca ed unica, all’interno di una grande “famiglia” nella quale c’è sempre stata condivisione e collaborazione. E soprattutto unità nei momenti più difficili, come nella fase della pandemia. Ringrazio il Signore per questo dono. Non me ne vado con un bagaglio soltanto, ma con tante belle cose che ho imparato da tutti coloro che ho incrociato nel mio cammino». Arrivata in laguna nel 2019, con altre due consorelle che resteranno in città insieme a suor Shante Antony Palatty Koonathan, la nuova superiora di origini indiane, suor Lotis è partita per Roma da pochi giorni, dopo essere stata salutata dai parrocchiani, in attesa di sapere quale sarà il suo prossimo incarico.
Il servizio delle religiose a Venezia. Classe 1976, è nata nelle Filippine. È entrata nella Congregazione nel 1997, poi – nel 2000 – la prima professione temporanea e nel 2006 quella perpetua. Animazione liturgica, catechismo, visita ai malati e agli anziani: sono solo alcune delle attività svolte in questi anni in città, per i quali la religiosa tiene a ringraziare soprattutto don Roberto Donadoni, parroco della comunità marciana: «Nel 2019 ci ha accolte spalancandoci le porte. È stato lui a chiedere alla madre generale la nostra presenza, insistendo affinché arrivassimo in città». Suor Lotis rivolge un pensiero anche al Patriarca Francesco, che nel 2020, in occasione della Visita pastorale, espresse il desiderio che le tre suore prestassero assistenza religiosa ai malati ricoverati all’ospedale Civile.
L’assistenza ai malati. «Il cappellano, don Gianpiero Giromella, ci ha preparate a svolgere questo tipo di servizio. È stata un’esperienza bellissima, ma altrettanto impegnativa. Una sfida grande, perché non sai mai chi stai andando ad incontrare nei vari reparti. Da qualcuno abbiamo ricevuto anche qualche rifiuto. Accanto alle tante persone credenti, che ti accolgono con gioia, possono capitare anche persone di altre religioni». Tanti gli incontri che suor Lotis conserva nel cuore, ma a colpirla particolarmente sono sempre stati quelli avuti con pazienti atei. Uno soprattutto. «Negli ultimi istanti della sua vita sono stata accanto ad una donna che mi ha accolta, nonostante non fosse credente. Siamo diventate amiche. Il compito di noi suore dovrebbe essere quello di ascoltare gli altri – riflette suor Lotis – ma in questo caso era lei a farmi parlare, chiedendomi di raccontarle la mia vita. Finché un giorno mi ha detto: “Lo sai che in te vedo una luce in più che io non ho?”. Ho continuato ad andare a trovarla, il suo ricovero è stato lungo. Nonostante la sua situazione fosse ormai compromessa, era lucidissima. Ricordo che c’è stato un momento in cui mi ha stretto forte le mani: di parole da esprimere non ne avevo più, perché avevo capito che stava per morire». Le uniche sono state quelle della preghiera del “Vieni Santo Spirito”, recitata da suor Lotis più volte, dopo la richiesta della donna di condividerne con lei una a cui la religiosa fosse particolarmente legata. «Ad un certo punto mi ha chiamata don Gianpiero, al quale ho domandato di raggiungerci nella stanza». La donna aveva infatti chiesto di poter ricevere l’unzione degli infermi. «Una gioia grande. Nell’ultimo momento della sua vita ha avuto quella grazia. Incontrare persone come quella donna, nella quale c’è stato un cambiamento, – commenta suor Lotis – mi ha fatta sentire un vero e proprio strumento nelle mani del Signore».
Marta Gasparon