Più di 200 morti nel giro di tre settimane e, secondo il governo locale, oltre 200mila persone costrette ad abbandonare le loro abitazioni a causa di inondazioni senza precedenti. La situazione in Kenya è allarmante e chi ha dedicato la propria esistenza a sostegno degli abitanti di quelle terre, oggi non nasconde la preoccupazione.
A tracciare un bilancio è padre Renato Kizito Sesana, missionario comboniano che ha scelto di affiancare al suo nome di battesimo quello del più piccolo dei martiri d’Uganda, che il 30 maggio sarà a Venezia, per un incontro alla Scuola dei Laneri (ore 17.30), per condividere la sua storia e accendere i riflettori su questo momento delicato per il Kenya.
Classe 1943 e originario di Lecco, una folta barba bianca ad incorniciargli un volto segnato da anni vissuti senza mai tirarsi indietro dinnanzi ad una vocazione che l’ha condotto fino a qui: la sua vera casa è l’Africa, dove desidera «rimanere fino in fondo – come scrive nel suo blog –. In questa terra che ho amato e che mi ha amato così tanto». Un legame indissolubile, fatto di aiuti concreti ad una popolazione che, nonostante la povertà e le difficoltà evidenti, mostra ogni giorno una gioia di vivere e un entusiasmo sorprendenti, «che trascinano e che ti mantengono vivo anche quando ti senti stanco», afferma Kizito, nel cui sguardo è racchiuso un mondo fatto di incontri autentici e di una verità vissuta sulla propria pelle, troppo spesso poco raccontata dai media.
L’Africa aveva iniziato a visitarla almeno un paio di volte all’anno da quando era diventato direttore della rivista Nigrizia. Poi, nel ’77, dopo la laurea in Scienze politiche all’Università di Padova, è partito per lo Zambia. Nell’88 l’arrivo a Nairobi, in Kenya, con l’incarico di avviare una nuova rivista. Numerose le missioni fra le popolazioni sud sudanesi martoriate dalla guerra, per poi raggiungere, nel ’95, anche i Monti Nuba.
L’impegno oggi è rivolto alla comunità Koinonia, da lui fondata, la cui attenzione è orientata soprattutto ai bambini di strada attraverso accoglienza, progetti educativi e centri di fisioterapia e riabilitazione per chi è affetto da patologie legate a disturbi nella motricità. «Fare dei paragoni è sempre antipatico – dice a GV Kizito, ordinato sacerdote nel ’70 – ma la differenza fondamentale con il popolo italiano è che quest’ultimo sta invecchiando velocemente, mentre l’Africa è un Paese di giovani. In Kenya il 50% della popolazione ha meno di 16 anni. E lo si tocca con mano: è gente che ha voglia di crescere e di tirarsi fuori dalle situazioni difficili in cui si trova. Nairobi è casa mia. Ho visitato l’Africa per la prima volta nel ’71, ora ho quasi 81 anni ma non lascerei quelle terre per nessuna ragione al mondo, poiché lì è dove ho vissuto».
La baraccopoli spazzata via. La visita in Italia di queste settimane era stata programmata da tempo, ma il cuore è in Africa, con la preoccupazione per chi sta attraversando momenti d’angoscia. «Tornerò in Kenya il 3 giugno e intanto sto cercando di raccogliere aiuti per Nairobi». Là i danni maggiori – spiega il padre missionario – dov’è presente la più grande baraccopoli africana a sud dell’equatore, Kibera, costruita in un avvallamento a 3 km dal centro della capitale. «Le case, realizzate con pezzi di lamiera, sono state spazzate via dall’acqua. Quanto accaduto è un fenomeno fuori dal comune, nonostante questa sia la stagione delle piogge. Le famiglie già vivono in condizioni di povertà estrema e adesso hanno davvero perso tutto. Ricordo che qualcosa di simile era avvenuto nel ’97, ma durò solo pochi giorni. Ora invece non si capisce ancora se il peggio sia passato o meno. Nessuno ne parla: certo, le emergenze sono tante (penso soprattutto alla situazione in Ucraina e a Gaza), ma purtroppo di disastri continuano a succederne ovunque». L’intervento di Koinonia, in stretta sinergia con AfrikaSì fondata e presieduta dalla veneziana Alessandra Tiengo, colei che ha invitato padre Sesana a fare tappa anche nella città lagunare, in momenti come questi si rivela ancora più prezioso. «Stiamo intervenendo – prosegue il sacerdote – distribuendo cibi e kit d’emergenza, come materassi, pacchi di farina da polenta, fagioli e utensili per cucinare. Alcune cose le stiamo ricevendo da una comunità indiana a Nairobi, particolarmente attenta e sensibile. Non abbiamo strutture in cui poter ospitare le famiglie in difficoltà: la casa di Kibera destinata ai bambini di strada, una quarantina, è al completo. Come pure la struttura per la fisioterapia o le case residenziali in cui si tengono corsi per giovani e ragazze madri. Nella periferia di Nairobi? Una possibilità d’accoglienza c’è, ma limitata».
L’incontro e la raccolta fondi a Venezia. Di questo e molto altro si parlerà il 30 maggio, serata in cui Tiengo prevede di lanciare una raccolta fondi. «Da 24 anni mi reco nelle baraccopoli di Nairobi, luoghi che a parole non si riescono a descrivere – racconta la donna, tornata ad abitare a Venezia dopo un lungo periodo a Roma –. Ho iniziato ad andarci un paio di volte all’anno e poi, negli ultimi tempi, sempre più spesso, pandemia a parte. Ci tornerò in ottobre. AfrikaSì si occupa di progetti educativi rivolti ai bimbi delle baraccopoli in collaborazione con Koinonia».
Marta Gasparon