Ibrahima Lo ha ventitré anni, ed un grande sogno: vorrebbe diventare un giornalista per dare una voce a tutti quelli che non ce l’hanno e documentare le ingiustizie che accadono fin troppo spesso in tutto il mondo.
Lui, di ingiustizie, ne ha già viste parecchie. Nato e cresciuto a Mbacke, una città del Senegal centrale, meta di pellegrinaggi, viene da una famiglia povera. I genitori erano venditori ambulanti di cibo e se non riuscivano a venderne abbastanza, non guadagnavano abbastanza per fare da mangiare. «Quando tornavo da scuola ero impaziente che mia mamma mi preparasse il pranzo, come tutti i bambini. Lei tornava sempre indietro in cucina, e mi diceva che tra poco sarebbe stato pronto. Mi ricordo di una volta che, ad un certo punto, stufo di aspettare, andai in cucina e vidi che nella pentola bolliva solo acqua. Allora mia mamma ammise che non c’era niente da mangiare quel giorno, ma non voleva che me ne accorgessi». La madre e il padre mancarono quando Ibrahima era ancora molto giovane. All’età di sedici anni, rimasto a vivere con la zia, dovette smettere di andare a scuola, poiché il costo dell’istruzione era diventato proibitivo.
Il ragazzino allora decise che l’unico modo per realizzare il suo sogno sarebbe stato quello di emigrare, di prendere la via del deserto e del mare. Il viaggio fu molto duro per Ibrahima: attraversato il Sahara e giunto in Libia, fu catturato e torturato a lungo dai miliziani locali. Poi dovette affrontare la terribile traversata a bordo di un gommone.
Anche in Italia la sua vita non è stata facile. «Vivevo in un piccolo appartamento a Mogliano Veneto. Dovevo pagare l’abbonamento dei treni per spostarmi ed arrivare a scuola ogni giorno, ed ero sempre a corto di soldi. Compravo un pacchetto di biscotti, che in genere erano il mio unico cibo per la giornata, ma li condividevo sempre coi miei compagni di scuola, se me lo chiedevano. Mi ricordo ancora le loro facce stupite, quando mi raccontarono che erano venuti a sapere dai loro genitori della mia storia, pubblicata su Gente Veneta».
Ibrahima non si è dato mai per vinto. Grazie anche all’aiuto di numerose realtà locali, compresa la Caritas veneziana, ha continuato a studiare ed ha cominciato a collaborare con diverse istituzioni, tra cui le Ong “Mediterranea”, che partecipa alle operazioni di soccorso in mare, e con “Refugees Welcome”, che aiuta i rifugiati catturati e maltrattati in Libia.
Oggi Ibrahima vuole lanciare un messaggio di protesta, pacifica ma potente. «Solo in Africa si possono risolvere i problemi legati all’immigrazione. Quando i politici europei stringono accordi coi dittatori per sfruttare le risorse tramite le multinazionali, non fanno altro che incentivare l’emigrazione. Quando stringono accordi per fermare i migranti con le milizie libiche, il cui solo interesse è che il flusso di migrazione continui, per arricchirsi, non fanno altro che pagare per avere in cambio il problema che speravano di evitare. Solo in Africa si possono risolvere i problemi dell’immigrazione, stabilendo governi giusti e democratici e permettendo ai molti giovani volenterosi di darsi da fare per migliorare i propri paesi».
Accanto a quello di diventare giornalista, Ibrahima ha il sogno di poter tornare in Senegal. Attualmente questo gli è impossibile: verrebbe arrestato appena sceso dall’aereo. Il governo autoritario del presidente Macky Sall non è contento che i giovani diffondano informazioni sui suoi crimini. Altri esponenti dei movimenti giovanili che si battono per la libertà, come Ousmane Sonko, Ngagne Demba Touré e Papito Kara sono già stati incarcerati. I senegalesi, come molti altri cittadini dell’Africa subsahariana, soffrono quotidiani soprusi, sia da parte dei propri governi, che da parte delle multinazionali.
E anche se ci si è ormai rassegnati ad abbandonare la propria patria, il percorso non è semplice: un appuntamento ad un’ambasciata straniera costa 300.000 Franchi CFA (circa 500 euro), un visto 4.000.000 (circa 6000 euro), una fortuna che non si possono permettere. «Io avrei preferito moltissimo salire a bordo di un comodo aereo che mi portasse in Europa direttamente, ma purtroppo questo non è possibile. Chi lucra sui poveri non ha motivi di smettere quello che fa».
Ibrahima è fiducioso e ci tiene moltissimo a diffondere il suo messaggio. È per questo che ha già scritto un libro “Pane e Acqua” (Villaggio Maori edizioni, 2021) e ne sta ultimando un altro. La settimana scorsa ha incontrato gli studenti del liceo classico ed europeo “Marco Foscarini”: col suo racconto ha commosso tutti i ragazzi. Ibrahima sarà anche presente al Festival della letteratura di Venezia, dall’11 al 13 aprile per dare voce a chi non ce l’ha.
Marco Bucella