Non ti scordar di me è il nome di un fiore dai petali azzurri ed è anche il titolo del cortometraggio dei registi Fabio Marin e Giuseppe Petruzzellis, presentato giovedì 18 aprile alla Biblioteca di Oriago.
Un’opera commovente e preziosa nata con l’intento di ridare voce e forma ai pensieri della mamma di Marin, la signora Gilda, che a poco più di 50 anni si ammala di una forma precoce di Alzheimer.
Da lì inizia il calvario della famiglia raccontato in maniera lucida dal figlio: «Ricordo che eravamo seduti attorno al tavolo della cucina e mamma ci comunica di avere delle difficoltà ad apparecchiare la tavola, per poi dirci di avere la stessa malattia del nonno».
Parole che gettano nello sconforto la famiglia Marin la quale, consultati i primi specialisti, si sente perfino dire che la signora, nel giro di pochi mesi, non avrebbe più camminato.
Segue un lungo e doloroso percorso di accettazione della malattia ma grazie all’assistenza del Centro Regionale Invecchiamento Cerebrale (Cric) e in particolare alla competenza e professionalità del dottor Carlo Gabelli, la signora Gilda inizia una cura che le consente di ritardare la progressione della malattia e di camminare altri dieci anni. «Il percorso è stato molto difficile – spiega Marin – nonostante la nostra famiglia sia sempre stata molto unita. Lungo questi dieci anni una delle cose più dolorose che abbiamo vissuto è stato scontrarci, nostro malgrado, con le inesperienze di parte del personale sanitario. Vedere che le sofferenze di mamma non erano prese in considerazione perché imputabili solo all’Alzheimer».
Una signora malata che lamenta molto dolore, non più in grado di esprimere chiaramente il suo malessere fino a quando esami più approfonditi non evidenziano un male più grande che non le lascia scampo. La signora Gilda si spegne nel 2018.
La scrittura di “Non ti scordar di me” inizia quando la mamma di Marin è ancora in vita ma da lì subisce diverse rivisitazioni: «Con Giuseppe Petruzzellis abbiamo lavorato sulle emozioni, cercando di immaginare ciò che poteva pensare e sentire mia mamma: da lì la scelta di un linguaggio sperimentale dove, accanto a immagini di repertorio girate dalla mia famiglia, prendono posto il suono e immagini più simboliche». Nessuna pretesa di linearità quindi, un inizio e una fine, ma sprazzi di normalità che sembrano perduti per sempre: una sveglia a scandire la routine delle medicine, etichette a disegnare gli spazi di casa, scarpe troppo grandi da indossare perché con l’Alzheimer è come tornare bambini. Genitori che diventano figli e figli che diventano genitori. Nonostante tutto, però, l’amore è la cura più importante perché “Anche se non sono più io, quello che eravamo lo siamo ancora”.
«Questo progetto – conclude Marin a margine della proiezione – vuole essere una testimonianza: nel mio piccolo voglio dare una speranza a chi come noi ha vissuto, o sta vivendo, la malattia di un proprio familiare. L’Alzheimer toglie i ricordi ma non la dignità delle persone né i suoi valori». E questo no, non va dimenticato.
Anna Maselli