«La tragedia è stata superata dalla speranza, grazie alla fede. L’ho visto più volte qui a Borbiago, soprattutto nel periodo drammatico del Covid: in paese ci sono stati tanti morti e tante famiglie colpite dalla morte. Ma molti di loro hanno attraversato questo passaggio sorrette dalla speranza: hanno offerto una forte testimonianza di fede nel Vangelo».
È forse l’esperienza più intensa vissuta da don Carlo Gusso nei suoi dodici anni da parroco di Borbiago. Anni che si concludono con il commiato di domenica 29 settembre: alle ore 10, nel giardino della scuola materna, presiederà la Messa con cui si concludi il suo ministero nella parrocchia, prima di approdare – attorno a metà ottobre – alla guida pastorale di quattro parrocchie del centro di Venezia.
«Me lo ricordo bene – racconta don Carlo – quel momento di dodici anni fa quando, appena arrivato il nuovo Patriarca Moraglia, mons. Mario Ronzini mi convoca e mi dice: “Avevamo pensato a una cambio per te, da Burano dove sei e, dato che al Lido sei già stato, abbiamo pensato alla terraferma, a Borbiago”».
Una parrocchia che don Gusso, 59 anni, ordinato nel 1990 dal Patriarca Marco, non conosceva: «C’ero stato forse una volta, per un funerale. Ma ero contento, perché non conoscere nessuno credo sia un modo per entrare più libero in una comunità, senza legami già in atto, che a volte possono condizionarti».
Nel 2012 don Carlo era arrivato nutrendo un desiderio, quello di rendere il santuario un luogo vitale di esperienza spirituale: «Penso che qualcosa, in questi anni, sia maturato. Credo che il santuario sia cresciuto come punto di riferimento per la ricerca spirituale; e questo vale sia per le persone della parrocchia sia per quelle che ruotano venendo da fuori. Il senso di appartenenza e la devozione dei borbiaghesi, che prima erano più improntati alla tradizione, adesso sono diventati più esistenziali, motivati dalla convinzione».
Ma dodici anni sono stati un tempo giusto da parroco di Borbiago? «Non so – risponde don Carlo – se siano stati un tempo giusto. Se si vuole fare un lavoro che renda solida una comunità i nove anni consueti sono pochi e forse quindici sarebbero meglio. Un percorso, infatti, lo devi vivere insieme alle persone e camminare con loro è determinante. Però sono anche convinto che un prete non è bene metta radici troppo profonde in una comunità. Io ho un mio motto: se un prete sta troppo tempo in una parrocchia nel primo tempo costruisce e nel secondo distrugge quello che ha costruito. Il rischio, cioè, è che si arrivi a una saturazione dello spirito, salvo non si riesca a innescare una dimensione di fede profonda che induce a innovare».
Ma c’è un volto, un episodio, un fatto di questo tempo a Borbiago che don Carlo Gusso si porterà particolarmente nel cuore? «L’aver accompagnato alla Cresima un gruppo di ragazze e ragazzi di cui sono stato anche catechista. L’ho fatto non solo per necessità ma anche perché era uno stimolo per me per mettermi in gioco con loro. Li ho accompagnati da quando li ho conosciuti alla scuola materna alla vigilia della Confermazione. E poi, al momento della Cresima, c’è stato un qui pro quo con la segreteria del Patriarca per cui alla fine sono stato delegato io ad amministrare il sacramento; e per me è stata una gioia grande, proprio perché li avevo seguiti in tutti gli anni della formazione. Poi, però, non possono non ricordare tanti momenti belli vissuti con le famiglie, con i gruppi, con le associazioni, con gli animatori… Tutte le dinamiche del cammino pastorale a Borbiago sono state momenti preziosi».
Giorgio Malavasi