«Posso avere due uova di zucchero?». «Appena la gallina mi fa l’uovo glielo porto, me lo scambia con un pesciolino di liquirizia?». Quando ha aperto, nel 1968, il nuovo minimarket di via Gatta, a Santa Lucia di Zelarino, è talmente povero che vale anche il baratto. E se il cliente non ha niente da scambiare pazienza, si chiude un occhio.
Qualche settimana fa si è festeggiato il primo cinquantenario di questa bottega d’alimentari a conduzione familiare, sopravvissuta grazie all’impegno di cinque generazioni di Battaggia. Aperitivo, rinfresco, testimonianze e galleria fotografica in negozio compresi.
Protagonisti il proprietario Tonin el casoin (Antonio Battaggia) e la moglie Meri (Maria Gatto). Ma anche le figlie Giulia e Sabrina, che decidono di non mollare la presa, pur marcate strette dalla grande distribuzione.
Di questa resilienza è testimone anche la continua attenzione verso il cliente, con servizi di consegna a domicilio e aiuti agli acquirenti in difficoltà della comunità di Santa Lucia, soprattutto a fine mese.
E se la sede attuale dell’alimentari compie cinquant’anni, l’attività, nata all’altro lato della strada, ne fa addirittura 120. Giovanni Battista Battaggia, bisnonno di Antonio, 120 anni fa riesce a ottenere un lembo di terra e la licenza di osteria, chiamata “La Frasca”. Suo figlio Antonio (nonno dell’attuale proprietario) ottiene poi, ai primi del ‘900, anche quella per la vendita di alimentari. Ma anche affini: come il petrolio sciolto per le lampade. Il problema è trovare il posto dove venderle, tutte queste cose.
Giovanni Battista e il figlio, in quel periodo, lavorano ancora alla fornace di Marocco, dalla quale portano a casa le pietre di scarto, mattone su mattone, e costruiscono prima una stanza e poi, con gli anni, le altre fino ai due piani.
«Questa era una via di poveri contadini, l’osteria e la bottega “da Battaja” erano l’unico riferimento per tutti» dice Antonietta, sorella di Tonino. «E l’asino della nostra famiglia era l’unico mezzo di trasporto per tutto il paese. Quando qualcuno aveva necessità di recarsi all’ospedale era la nostra famiglia a portarlo».
Dedizione al cliente che si solidifica nel secondo dopoguerra, quando qui «si aiutavano tutti. Mia mamma Roma – continua Antonietta – un piatto caldo l’aveva per chiunque. Chi aveva qualcosa da pagare pagava, sennò non importava».
Roma qui se la ricordano tutti. «Era “santola” (madrina di battesimo) di tutto il paese – ride la nipote – era su tutti gli album fotografici. Quando la gente aveva paura di non farcela con i propri figli, per la troppa povertà, lei era un punto di riferimento».
Le cose non cambiano nel dopoguerra. «Venivano tutti da noi. Anche quando arrivò il televisore. Gli unici del circondario ad averlo eravamo noi. Era come adesso andare al cinema. Tutti erano incuriositi, si raggruppavano in una saletta qui».
È proprio in questo periodo, due generazioni oltre il fondatore, negli anni Cinquanta, che la morte prematura di Giovanni Battaggia costringe sua moglie Roma Fotran (mamma dell’attuale proprietario dell’alimentari) a farsi carico di tutto, insegnando il mestiere ai due figli Antonietta e Tonino. In questo momento l’attività si fa florida, si tempra, ed è sempre più variegata, tanto da esigere nuovi spazi.
Ed ecco nascere il nuovo “cason”, di fronte, nell’ottobre del 1968; e nel febbraio del 1969 apre la trattoria.
«Oggi abbiamo ancora i clienti che venivano qui cinquant’anni fa – dice orgogliosa Giulia – quando papà ha aperto il negozio c’era chi tra loro ci chiedeva zucchero portando in cambio due uova. La gente barattava quello che aveva, qui dentro. Una cliente aspettava che la gallina facesse l’uovo per correre qui e scambiarlo con i pesciolini di liquirizia. C’è anche la cliente che nell’ottobre del ‘68 (e noi non ce lo ricordavamo, ce l’ha detto lei sorridendo) andava a fare volantinaggio per l’apertura imminente del nostro negozio, appena sedicenne».
Giulia Busetto