Portare la luce, quella vera, quella di Cristo che nasce, lì dove spesso ci sono buio, abbandono e degrado. Far uscire Gesù Bambino dallo spazio un po’ nascosto del patronato e portarlo in strada, a contatto con tutti: anziani e bambini del quartiere, parrocchiani, ma anche stranieri e sbandati.
Per la prima volta quest’anno, si affaccerà direttamente in via Piave il presepe pensato e costruito dall’associazione Noi della parrocchia Santa Maria Immacolata di Lourdes. Sotto i portici, alla sinistra della chiesa guardando la facciata, una grande Natività sarà allestita al civico 76, in uno dei tanti, troppi, negozi vuoti e sfitti della zona. Il presepe sarà aperto e benedetto il 24 dicembre dopo la veglia e la messa di mezzanotte e visitabile nel periodo delle feste tutti i giorni dalle 10 alle 12 e dalle 16.30 alle 19 (chiuso solo il primo gennaio).
«L’idea – spiegano i volontari del gruppo – ci è venuta quest’estate insieme a don Mirco. Ci eravamo accorti che nella saletta del patronato il presepe era un po’ sacrificato: gli anziani faticavano a venire a vederlo, era troppo buio, poco sicuro. Così, sull’esempio anche di altre associazioni, per cercare di rivitalizzare un po’ il quartiere, ci siamo detti: perché non farlo in uno degli spazi sfitti? Il nostro primo obiettivo era di portare Gesù sulla strada. La chiesa in uscita di papa Francesco».
Parroco e associazione cominciano così a muoversi per capire se è davvero possibile realizzare l’idea: contattano la società e, senza alcuna difficoltà, si accordano con i proprietari, «che si sono dimostrati disponibilissimi e gentili», per un comodato d’uso gratuito temporaneo degli spazi.
Trovato il posto, si comincia a pensare al presepe vero e proprio. Qui, come in tante parrocchie veneziane, sempre diverso, ogni anno. «Il soggetto e l’ambientazione cambiano – ci dicono i volontari – ma sempre nel rispetto della tradizione, senza troppe rivisitazioni moderne. C’è Fabio, il “capomastro” che fa i progetti, studia i disegni, dirige i lavori e li realizza. Poi ci sono tantissimi amici che danno una mano a portare il materiale, a fare le casette. Quest’anno siamo molto soddisfatti perché c’è stata una partecipazione più concreta e numerosa».
Nel negozio vuoto, dopo una bella ripulita, si cominciano a preparare la struttura, il soppalco, i falsi muri divisori, gli archi, a inchiodare le tavole, a mettere tutto in sicurezza. Le pareti spoglie saranno rivestite con i disegni e le foto dei presepi portate dai bambini del catechismo. In primo piano la sacra famiglia, sullo sfondo un borgo caratteristico, abbastanza tipico dei paesi del Medio Oriente.
Non è facile, raccontano, lavorare in questo quartiere. «La parola riappropriarsi – aggiungono – non ci piace: significa che qualcuno ci ha rubato qualcosa e che noi ce lo siamo fatto rubare. Noi ci “sciogliamo” nel nostro territorio, camminiamo in mezzo agli altri. La convivenza, inutile negarlo, è un po’ complicata. Il problema vero è la sicurezza, soprattutto per le persone anziane quando, la sera, escono dalla messa».
Per lo stesso motivo, ad esempio, da alcuni anni gli orari del catechismo dei bambini sono stati spostati dai tardi pomeriggi settimanali alla domenica mattina. Poi ci sono i senzatetto che dormono o fanno i loro bisogni negli spazi della chiesa o del patronato, tanto da costringere a mettere delle recinzioni. «Questo è il disagio – sottolineano – queste persone arrivano fino a qui e nessuno provvede».
La comunità, però, resiste e si rinsalda, anche grazie alle tante iniziative organizzate dal gruppo insieme al parroco: i pranzi per gli over, gli spettacoli teatrali, le conferenze, come l’ultima, poco tempo fa, molto partecipata, in cui si è parlato del Libano e dei rifugiati di quel paese, «che è servita – dicono – a mettersi dall’altra parte, nei panni di chi scappa. Un bel momento di meditazione per la comunità perché, non neghiamolo, quando quotidianamente assisti a certe cose sei tentato di pensare: “tornino a casa loro”».
E allora, nel presepe, proprio sullo sfondo, di fianco al borgo, un edificio giallo, una kasbah, che, però, tanto richiama quegli stessi portici di via Piave, con tante persone ammucchiate dentro, seminascoste. «È un po’ – concludono i volontari – quello che succede qui con tante persone che hanno paura e non vogliono venire alla luce. Stanno lì, nell’anonimato. Gesù, però, viene alla luce anche sulla strada, anche per loro, per noi, per tutti».
Chiara Semenzato