Abbattere tutti i pregiudizi, cercare la comunione vera, quella che viene dal Signore: è questo l’augurio che don Giovanni Frezzato fa alla propria parrocchia, la chiesa di San Giovanni Evangelista a Mestre, che il prossimo primo giugno festeggerà i primi 50 anni di vita.
Un compleanno speciale che è stato celebrato con una Santa Messa presieduta dal Patriarca Francesco, con il parroco, il fondatore don Gianni Dainese, il vicario don Roberto Memo e, si spera, tutti i sacerdoti che da qui sono transitati o che qui hanno scoperto la loro vocazione.
Un senso di unità e di comunione indispensabile in una parrocchia come questa in cui da sempre alla normale vita pastorale si intreccia il percorso del Cammino neocatecumenale: eretta il primo giugno del ’68, la parrocchia ha visto fondare la prima comunità nel ’73. Oggi quelle presenti sono 16, per un totale di circa 600 persone.
«Don Gianni – sottolinea don Frezzato, arrivato nel 2010 – ha messo in movimento tutti coloro che abitavano qui, soprattutto le giovani famiglie. Quando sono arrivato io, mi ha colpito l’autonomia delle cose: ho trovato molti laici maturi, persone formate, già abituate a fare. Quasi tutti qui hanno ascoltato un po’ di catechesi neocatecumenale: c’è sempre stata una fondamentale apertura all’ascolto e alla Parola».
Una distinzione, quella tra parrocchiani e neocatecumenali che c’è, dice il parroco, inutile negarlo, ma che non deve essere inconciliabile. «La comunità – sottolinea – ha un sua continuità nell’ascolto della Parola e una vita di relazione fondata sulla celebrazione frequente dell’Eucarestia. A poco a poco si crea una formazione che abilita a fare anche altri servizi, una generosità che trasuda dal cammino alla parrocchia».
E, dalla catechesi alla carità, segno dello Spirito che fiorisce, è davvero lungo l’elenco delle attività presenti nella chiesa di via Rielta: dai gruppi d’ascolto al gruppo liturgico, dal lavoro degli 8 accoliti al Progetto Gemma per le mamme in difficoltà, dalla Caritas al gruppo Missioni. E poi ancora chi si occupa dei fidanzati, chi della pulizia degli ambienti, il coro, che si attiva per le liturgie solenni, e il “gruppo Guastatori”, i tanti adulti volontari che pensano alla piccola manutenzione o alla cura del giardino.
Il racconto di don Gianni Dainese. La grande fatica dei primi anni e il disagio di cominciare da zero con quasi nulla in mano. La soddisfazione, oggi, di vedere la propria comunità tagliare un traguardo così importante. Sono ben 42 quelli che don Gianni Dainese ha vissuto in via Rielta, a capo della comunità di San Giovanni Evangelista: all’inizio in appena 100 metri quadri di un’ex pescheria, poi nella chiesetta prefabbricata, con il catechismo che si faceva in un appartamento della vicina via Adda.
«Lì – ricorda il sacerdote ormai quasi 84enne – non c’era niente. Sono arrivato per obbedire al Patriarca che mi chiedeva di fondare una comunità, ma anche con spirito avventuroso: non sapevo bene cosa fare, non mi rendevo bene conto. Ricordo, però, la fatica: non avevamo spazi, non c’erano strutture, tutto era abusivo. Vivere la parrocchia in modo normale, perfino celebrare le funzioni era quasi impossibile». E anche il Cammino neocatecumenale nasce qui nel ‘73 non a caso, «perché – ricorda don Gianni – non c’era bisogno di spazi, ci si ritrovava nella case».
Nei primi 15-20 anni è stata una battaglia quotidiana tra permessi, vincoli, carte bollate, denunce, ricorsi, compromessi. «Guardavo gli altri – sottolinea – e avevano tutto. Noi no: dovevo arrangiarmi. Tante volte mi sono sentito scoraggiato. Però nel frattempo ho cominciato a conoscere le persone, a parlare con loro, ad andare per le case, ad amarle. E loro hanno avuto pazienza e mi hanno seguito».
Gente semplice e buona, allora, i parrocchiani: famiglie giovani di operai, qualche impiegato. «Gente per bene – dice don Dainese – che non aveva studiato, molto vicina a me. Sono cresciuto come sacerdote in questa parrocchia: mi sono accostato alle persone cercando di dare il meglio di me stesso, parlando con il cuore. Quelle persone, le stesse di oggi con qualche anno in più, mi hanno aiutato ad accettare di essere parroco proprio qui, con tutte le difficoltà. Ho capito che quel che conta nella Chiesa è l’evangelizzazione, la possibilità di accostarsi alla gente. Mi hanno voluto sempre molto bene, mi sono sentito molto amato».
Non nasconde, don Gianni, il sospiro di sollievo tirato e l’emozione grandissima provata alla consacrazione, nel 2000, della nuova chiesa in pietra. «Questa parrocchia – conclude – la sento come una “figlia”. Nel mio modo di fare il parroco ho cercato di essere esempio e ispirazione per i giovani e le nuove vocazioni. Ho cercato di fare il mio dovere e di essere un bravo prete. Guardo a questa festa e sono contento, tranquillo e orgoglioso».
Chiara Semenzato