Alle prove sembrava tutto facile. C’era chi non ricordava, chi rideva dall’inizio alla fine, chi si distraeva con lo smartphone e chi dava di gomito al compagno di scena. Tanto i testi da imparare erano già nel display dei loro cellulari. E si erano anche fatti garantire che il giorno dello spettacolo non ci sarebbero stati video molesti a immortalare la performance. «Non verranno poi in molti, a vederci» si rassicuravano a vicenda.
«Sono entrati nel mistero della risurrezione». Poi, sopra al vecchio altare, gli adolescenti della parrocchia mestrina di San Paolo si sono trovati davanti a trecento occhi che li scrutavano dai banchi di una chiesa in completo sold out.
Solo in quel momento i ragazzi hanno respirato l’aspettativa che quel musical sulla risurrezione di Cristo suscitava nella comunità. Ed è proprio in quel momento che hanno interrotto le risa e hanno fatto sul serio, lasciando a bocca aperta i due animatori che li avevano seguiti per i tre mesi precedenti di preparazione.
Accadeva pochi giorni fa, mercoledì 28 marzo. Protagonisti de “Il Risorto”, di Daniele Ricci, una trentina di ragazzi delle scuole superiori alle prese con ballo, canto e recitazione. Quasi non è servita la regia occulta dell’animatore Daniele Pavanello, che per prudenza aveva preso parte al cast, con un personaggio privo di battute, per rassicurare i suoi allievi durante la messa in scena. «Sono incredibilmente riusciti a entrare nel mistero della risurrezione molto più di quanto potessi immaginare – ne parla ora, a cose fatte – a rendere tutto molto serio e solenne, inclusa la gioia contagiosa dei loro sorrisi. Le prove li avevano messi in difficoltà, a livello di atteggiamento e concentrazione».
Onnipresente smartphone… Colpa anche dell’era smartphone, sostiene lui, che di generazioni sotto la sua guida, da animatore, assieme alla collega Emanuela, ne ha viste passare parecchie: «A togliere loro il telefonino è quasi una battaglia persa, è diventato il prolungamento della loro mano. Anche i testi dello spettacolo vanno meglio a leggerli lì dentro. E, nel mentre, vogliono essere costantemente connessi. Non che sia un male, anzi: gli smartphone sono un veicolo alla socializzazione. Non un ostacolo come pensano in molti. Ma in alcuni momenti abbiamo dovuto vietarli, perché impedivano la concentrazione. Quando il telefonino non ce l’hanno sotto al naso lavorano bene».

E il musical nell’era social ha dovuto per forza decimare il tempo delle prove: «Questo spettacolo prevederebbe un anno e mezzo di preparazione. Ma con i ragazzi di oggi non puoi spingerti così lontano, perché poi tendono a stufarsi e a perdere di vista l’obiettivo. Già in questi pochi mesi è stato complicato. Questa generazione è lontana anni luce dalle altre. Hai la loro attenzione per molto meno tempo, in questi anni. La difficoltà della nuova non sta nel cogliere il concetto, ma nel riuscire a mantenere viva l’attenzione per l’approfondimento. Per questa cosa ci siamo trovati un giorno alla settimana per un’ora e mezza. C’era chi non si ricordava, chi rideva e scherzava e si perdeva. Che è anche giusto alla loro età, però avevamo così poco tempo che non ce lo potevamo permettere».
La metamorfosi sul palco. Ma i ragazzi, quel cellulare, l’hanno spento veramente solo nell’istante del debutto in scena. Perché è lì che si sono dimenticati della sua esistenza. «Mi ha colpito il loro sorriso sul palco – dice l’animatore cinquantenne – più di tutto il resto. Soprattutto quello dei più introversi. Mi ero raccomandato, all’inizio: “State mettendo in scena una cosa drammatica, non mettetevi a ridere”. Il ridacchiare è diventato da solo un sorriso di gioia per il messaggio di fede che avevano interiorizzato e stavano trasmettendo. Una gioia che ha contagiato coro, ballerini, organizzatori e spettatori».
E pensare che i giorni precedenti avevano timore di farne pubblicità, i ragazzi. Speravano ci fosse poco pubblico per limitare un’eventuale brutta figura. Zero video, si erano fatti promettere. «Adesso invece sperano in qualche video fatto di nascosto. Vorrebbero farlo vedere agli amici. Mi sa che andrebbero pure in replica».
Giulia Busetto