In quel penultimo stanzino della penitenzieria c’è sempre un gran via vai di fedeli. Attendono composti, silenziosi, in raccoglimento, che il piccolo semaforo sopra la targhetta della porta diventi verde.
Su quella targhetta è scritto “padre Ruffino”, che li assolve dai loro peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Una formula che ripete più volte al giorno, tutti i giorni, da sessant’anni. Dal suo confessionale del convento di via Cappuccina il francescano Ruffino Biasi, al secolo Giovanni, accoglie quotidianamente penitenti da tutto il Triveneto. Per la maggior parte mestrini, sì, ma il suo carisma di confessore, minimizzato dalla modestia che si addice a un francescano, ha proiettato benefici anche oltre regione.
«Mi piace rinfrancare le anime». Saranno le 92 primavere in grazia di Cristo, la delicatezza dell’eloquio, i sei decenni di peccati timidamente bisbigliati «che non mi hanno mai scandalizzato» o «la gioia più schietta e profonda» nel sollevare le persone, tanto da «piangere, cantare a squarciagola, abbracciare i muri da quanta è la felicità di servire il Signore».
Fattostà che questo cappuccino dalla lunga barba bianca e dagli occhi chiari è diventato piccolo grande ingranaggio della “fabbrica mestrina delle confessioni”.
Sei stanze dedicate al sacramento della conversione attive ad ogni ora del giorno. A volte turnate, altre insieme, in base al flusso dei penitenti. Un “pronto soccorso delle anime”, vien da dire. Una risorsa inesauribile per le “urgenze del cuore” che richiedono la “prescrizione specialistica” della riconciliazione.
«Mi piace rinfrancare le anime. Le persone hanno sempre più bisogno di parlare» racconta il cappuccino che di questo convento è stato anche il superiore. «Necessitano di conforto, incoraggiamento. In tanti posti non si dialoga più. I ragazzi per le strade sono chini sul telefono. Anche in famiglia, spesso, c’è silenzio. Quanta fatica si fa ad esprimere certe cose. Può diventare un dramma. E il Signore sa che abbiamo bisogno di farlo. Ci aspetta paziente».
Quei lunghi incontri per parlare. Ennesima conferma, per il sacerdote francescano, la signora che vuole un incontro urgente con lui per confessare «una colpa grande»: «Mi parla un’ora e non arriva mai al dunque. Io aspetto, paziente. Poi mi dice che ha finito. Prima rimango sorpreso, poi capisco. Quanto bisogno ha il mondo di comunicare!».
Come anche quel trentenne che da vent’anni non ha più messo piede in un confessionale: «È impaurito. Gli dico “Non temere: il Signore è felice perché è da vent’anni che ti aspetta, pensa alla festa che farà per te!” E quando ho dato l’assoluzione abbiamo pianto assieme felici».
«E quella volta che un uomo mi supplica di parlare con la sua sposa, convinto ci sia da tempo qualcosa che la turba?» Ruffino cerca di mettere a suo agio la moglie mentre lei, intimorita, gli dice: «Chissà padre, se le confesso questa cosa, cosa penserà poi di me». Lui indovina ciò che affligge la donna: «È questo?» E lei ammette, sorpresa, scoppiando in lacrime. «Una persona è grande quando vive nel bene – la rassicura lui, piangendo di gioia insieme a lei – ma è molto più grande quando, dopo aver commesso qualcosa, si accosta al sacramento e si pente. La mia stima per te ora è raddoppiata».
«Che cosa mi rende felice». Il frate minore è diventato padre spirituale di molte fedeli. Ancora ricorda la volta che, giovane e piacente, si sente dire in tono goliardico: «Chissà a quante donne farai girare la testa tu». A quel gruppo di uomini risponde timido ma risoluto: «La mia gioia è di farle felici, sì: nel consigliarle, nell’accogliere i loro dubbi, i loro dolori, nel renderle spose gioiose di se stesse e dei loro mariti. Questo mi rende davvero un uomo felice».
Giulia Busetto