Tanti cantieri aperti in via Ca’ Marcello: procedono spediti i lavori per ridisegnare questa fetta di città che, con la realizzazione di 4 grandi alberghi per un totale di 1.900 posti letto, a cui sommare un quinto in via Piave, e due ostelli, di cui uno già operativo, abbandonerà la propria fama di degrado per una vocazione spiccatamente turistica.
Il rischio, però, che l’area si trasformi in una “città dormitorio di serie B del turismo veneziano” è alto, serio e concreto. Ma si può anche evitare che accada, come spiega Stefano Munarin, professore associato di Urbanistica allo Iuav.
Che la monocultura turistica non sbarchi a Mestre… «Dobbiamo sempre fare riferimento – dice – all’idea di sostenibilità. Questi interventi sono sostenibili per la città di Mestre? Sotto il profilo economico, ad esempio, non penso tanto alla solvibilità di chi costruisce. Ciò che mi interessa davvero è che la città cerchi di diversificarsi economicamente, che irrobustisca il proprio sistema economico in un sistema plurale».
Il primo degli errori da non rifare, insomma, è diventare dipendenti di un solo settore economico, il turismo, come nel Novecento, quando si dipendeva in tutto da Porto Marghera. «Perché – aggiunge – i sistemi più articolati sono più resilienti, capaci di adattarsi e di superare le crisi. Come insegna la lezione dei distretti industriali: quelli che hanno resistito e si sono innovati di più erano quelli plurali».
I nuovi hotel meglio qui: c’è già una città intorno. Ma ci sono altri due aspetti della sostenibilità che vanno affrontati, quella ambientale e quella sociale. Sulla prima l’urbanista non ha dubbi. «Queste strutture – dice deciso – meglio in via Ca’ Marcello che altrove, qui dove non consumano suolo. Qui dove si riutilizzano spazi urbanizzati. Meglio qui che, come avvenuto negli ultimi decenni, sparsi a pioggia attorno alla città, lungo la Triestina o la tangenziale, senza creare alcun effetto urbano. I turisti che soggiornano in quelle strutture escono e vanno a Venezia, bypassando completamente Mestre. Che cosa hanno portato, allora, alla città quelle operazioni?».
Sotto il profilo ambientale, poi, l’area in cui sorgeranno i nuovi alberghi è già strategica. «È in centro città, – prosegue – a due passi dalla stazione, ci sono le piste ciclabili. Arrivano treni, bus urbani, l’Atvo, il tram… Si potrebbe potenziare ancora di più l’uso dei mezzi pubblici, disincentivando quello dell’auto. Per fortuna lì intorno c’è già una città, non bisogna costruirla».
Purché la città metta radici là dove ci sono gli hotel. Ma la visione più affascinante proposta dall’urbanista è quella legata alla sostenibilità sociale. Il rischio è la monocultura turistica: persone barricate nelle loro stanze e, per strada, negozietti di souvenir e paccottiglia. «Non dobbiamo pensare al turismo – spiega il professor Munarin – solo come un’orda di barbari che assale la città. Potrebbero arrivare ragazzi, giovani coppie, studiosi, famiglie con bambini: persone che hanno voglia di uscire dall’albergo, fare due passi, mangiare qualcosa. Sarà possibile se dedichiamo una parte degli investimenti alla riqualificazione dello spazio urbano che sta intorno, via Piave compresa».
L’operazione, insomma, non va guardata tanto in termini di posti immediati di lavoro da muratori e camerieri, quanto come opportunità di sviluppo da cogliere per l’intero territorio circostante: amministrazioni, associazioni di categoria, professionisti e cittadini insieme, con progetti e politiche integrate, per produrre urbanità, densità urbana, «un concetto – sottolinea – che non sappiamo bene come definire, ma che poi ammiriamo all’estero. Le ramblas o il mercato di Barcellona, Monaco, Amsterdam o Berlino».
Servono sforzi di creatività. Tradotto nella pratica significa, ad esempio, incentivare i giovani imprenditori ad aprire proprio lì nuove attività economiche, pub, cicchetterie, locali in cui si fa musica o cabaret, o ancora, creare una cittadella dei sapori multietnici, dove nel giro di qualche centinaio di metri si può assaporare un pollo tandoori, un tzatziki o la carne affumicata della churrascaria brasiliana.
«Ci deve essere – spiega ancora il professore – una relazione tra questi interventi e la riqualificazione di via Piave. Bisogna dirottare anche lì gli investimenti, parlare con gli imprenditori. Non in modo automatico, non da sola, ma, secondo me, via Piave ha tutte le carte in regola per diventare un luogo strategico nel Veneto».
E immagina persone che partono da Padova o da Vicenza, arrivano in treno, così possono bere anche qualche bicchierino in più, e vengono a mangiare coreano o giapponese. Magari, fra qualche tempo, anche a fare un salto all’M9.
È già successo in Europa, nell’area della stazione di Oslo, ad esempio, oggi simbolo di questo tipo di urbanità allegra e sociale, luogo magnifico sotto il profilo della vitalità urbana.
Le risorse? Vanno ridistribuite. Non più, insomma, un luogo di degrado, abbandono e spaccio: via Ca’ Marcello e dintorni potrebbero diventare una nuova porta di Mestre, fruibile dai turisti, ma anche dai cittadini, che potrebbe fare da traino per l’intera città, espandendo le sue ricadute positive fino al parco Piraghetto, fino al chilometro della cultura e all’M9, fino a Marghera.
«Con gli imprenditori stranieri – conclude Stefano Munarin – arrivano anche gli introiti in termini di oneri di urbanizzazione, accordi di programma, standard urbanistici». Se a governarli ci fosse una task force pubblico-privato orientata al rilancio, se una quota del profitto venisse ridistribuito alla collettività, allora gli effetti sarebbero positivi per l’intera città. Una proposta che merita di essere presa in considerazione.
Chiara Semenzato