«Le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente», ribadiva la premio Nobel Rita Levi Montalcini, e ancora oggi continuano a farlo, potremmo aggiungere. Chi perseguendo la propria battaglia individuale, chi operando all’interno della comunità locale, come Hasnahena Mamataz Dalia, mediatrice linguistica della comunità bangladese di Mestre, e partecipatrice attiva alle inziative dell’associazione storiAmestre. (Nella foto di apertura un gruppo di donne bangaldesi)
«Hanno sempre dovuto portare due pesi, quello privato e quello sociale», sottolineava l’illustre scienziata che, oltre ad aver rivoluzionato la medicina, lottò con tenacia per la piena e libera affermazione della donna all’interno di una società che ne definiva arbitrariamente il ruolo e i rigidi confini.
Hasna, tramite l’iniziativa LiberAlo, volta a promuovere l’incontro e il dialogo fra sole donne, in particolare della comunità bangladese di Mestre, cerca di portare consapevolezza e coscienza delle proprie capacità laddove queste sono offuscate e represse da una cultura maschilista. «Alo – spiega – significa luce, e io cerco di aiutare le donne a far uscire la loro luce, a scoprire quali sono le loro qualità, le loro competenze, che spesso loro nemmeno sanno di avere e che sono uniche, diverse. Magari io ho questa qualità, che lei non ha, e che nemmeno tu hai, ma tu avrai un’altra qualità che io non possiedo. E grazie a questo progetto ci incontriamo liberamente e parliamo, ci confrontiamo, ci aiutiamo. Non abbiamo regole, non dipendiamo da nessuno. Ci sentiamo finalmente libere. Di esprimerci».
Così Hasna ha dato vita a questa iniziativa grazie all’appoggio del Gruppo di Lavoro di Via Piave: «Quest’idea mi è nata da un’esigenza che avevo. Di parlare. Di confidarmi. Di informarmi. Quando sono arrivata in Italia, 20 anni fa, non sapevo la lingua, non lavoravo e non avevo nessuno a cui appoggiarmi, non sapevo dove chiedere informazioni. E vedo che tanti bangladesi hanno lo stesso problema. Questo gruppo nasce da quest’esigenza, affinché nessuno si senta solo, e possa ricevere aiuto se lo vuole».
La comunità bengalese di Mestre è la comunità straniera più numerosa del comune: alla fine del 2022 contava 7800 persone. Tuttavia, a ostacolare l’inserimento sociale vi sono tante inefficienze, dagli scarsi servizi di informazione alla carenza di misure concrete per promuovere un’integrazione naturale. Come le classi mono-etniche che, oltre a rallentare l’intera sezione a causa del necessario apprendimento della lingua, circoscrivono la sfera dei legami al medesimo gruppo etnico, impedendo di fatto l’integrazione. L’inserimento nel tessuto sociale locale è, però, ancora più arduo per la componente femminile: le donne sono solitamente confinate tra le mura domestiche e non hanno modo di imparare la lingua; questo impedisce loro di lavorare e di conseguenza di rendersi autonome. È un gatto che si morde la coda: «Finché la donna non ha una sua fonte di sostentamento non sarà mai libera. L’indipendenza inizia da quella economica», sottolinea Hasna, che ha aiutato molte donne a trovare un lavoro. «All’inizio eravamo in tante, qui, agli incontri. Ora molte non riescono più a venire. Ma io sono contenta perché significa che lavorano, che hanno trovato la loro luce», dice sorridendo.
La cultura patriarcale che vuole la donna a casa, subordinata al marito, che può uscire solo se accompagnata, che la definisce in quanto moglie di qualcuno, trova sovente una sua giustificazione nella religione: «Ma è una scusa. Il Corano non dice da nessuna parte che la donna deve essere subordinata all’uomo. Che non può uscire. Che può essere trattata male». È un’interpretazione che accorda al maschilismo l’autorità di imporsi e dettare le regole, ma questa percezione deve cambiare. «Alcuni mariti sono contrari al fatto che le loro mogli partecipino ai gruppi di incontro di LiberAlo. Sono convinti che io faccia divorziare tutte le donne», sorride amaramente Hasna. «Allora le accompagnano, per sorvegliarle, per vedere che sia tutto tranquillo. Dopo tre o quattro volte, quando si rendono conto che non facciamo nulla di male, non tornano più». Non c’è risentimento nella voce di Hasna: solo la soddisfazione di essere parte di un cambiamento che, nel suo piccolo, sta avvenendo.
«Dalle nostre parti, quando si incontra una donna, la si saluta dicendo il nome e il ruolo che le spetta: cognata, moglie… Ma una donna non deve esistere solo in quanto prolungamento dell’uomo a cui appartiene. La donna non è tale solo quando è moglie, figlia, sorella di qualcuno. La donna è, punto».
Teresa Facchinetti