«Noi abbiamo proprio scelto di aprire in centro a Mestre», precisa con una punta di orgoglio Viviana di Holic, agenzia di comunicazione creativa. «Nell’arco di dieci anni siamo riusciti assieme ad altri ragazzi come noi a riprenderci alcuni degli spazi delle più di 80 attività sfitte dell’epoca». Le fa eco il socio Giacomo: «E’ stata una volontà quella di fare qualcosa per la nostra città e far nascere e crescere un distretto creativo».
Di questo collettivo di attività avevamo già parlato lo scorso anno, chiamandolo “Piave.va!”, per sintetizzare le caratteristiche delle realtà che lo compongono, molte basate sulla tecnologia virtuale e altre sull’artigianato, in perfetto equilibrio e complementarità fra loro. Tutto era partito proprio da via Piave, spesso al centro delle cronache per ben altre questioni legate alla sicurezza.
«Noi abbiamo dovuto spostarci in calle Legrenzi solo perché la nostra sede è stata venduta»,racconta Anna, fotografa dello Studio Blu Banana. «Ma siamo ancora legati e ci sentiamo di quella parte viva e calda di Mestre; e, da mestrina di Altobello, mi auguro che il degrado si sconfigga proprio risollevando le sorti di alcuni quartieri, facendo rete per essere più forti, dando un’immagine coerente di città».
«L’idea di un vero e proprio distretto – continua Viviana – si lega alla riqualificazione. Vetrine aperte e cultura portano ad attrarre nuove persone anche da fuori e creare aggregazione in questi spazi». Tanto che di recente ha aperto un nuovo negozio di dischi in vinile e una mescita di birra di alta qualità. «Tra di noi siamo in contatto e collaboriamo perché siamo affini a livello di sensibilità e di visione».
«Aprire a Mestre offre ancora un vantaggio economico», raccontano Luca e Matteo di Telestudio. «Si possono trovare persone disponibili ad accettare attività creative che credono in questo progetto». Bisogna però inserirsi in una realtà che mostra segni di disagio: «Dalla vetrina assistiamo spesso al passaggio di persone che necessitano di aiuto e che avrebbero bisogno di riscatto».
Con il degrado ci si trova a confrontarsi tutti i giorni: «La gestione della zona è sempre più difficoltosa, io resisto ma di sicuro questo danneggia la mia attività perché le persone che hanno paura non passano per di qua», confida Marco di Cartiera Clandestina. «Stanno emergendo anche fenomeni nuovi, oltre allo spaccio, che non vengono gestiti, come quello di ragazzi allo sbando che dormono per strada».
Si tratta di giovani che non per forza usano sostanze: da Natale stazionano sotto i porticati di via Piave, disorientati e smarriti, senza una guida o un obiettivo. «Sono il frutto di un disagio giovanile che non viene affrontato, soprattutto dopo gli effetti devastanti dell’isolamento causato dal Covid-19. Rischiamo di trovarci con nuove emergenze sociali a cui si risponde puntualmente in ritardo quando diventano ormai gravi».
Come intervenire? «La repressione non serve, bisogna fare prevenzione», risponde Marco. «Per prima cosa andrebbe ascoltato e compreso il disagio e non solo condannato o affrontato cercando di spostarlo. C’è bisogno del ritorno degli operatori di strada e di fare riqualificazione, anche dando in gestione ai giovani stessi alcuni luoghi per rispondere ai loro bisogni, responsabilizzandoli».
La recente marcia “Riprendiamoci la città” sembra aver posto proprio in questi termini la questione: «Bisogna tornare a fare politiche sociali e ci deve essere un dialogo diverso con l’amministrazione, noi vorremmo far parte di questo cambiamento», puntualizza Viviana. «E’ stata il simbolo della dignità di un’intera comunità che non si riconosce in un’immagine di città abbandonata a sé stessa», aggiungono Luca e Matteo.
«Ero presente alla manifestazione» – aggiunge Marco – «Abbiamo chiesto a gran voce ma in modo pacato al comune una gestione diversa del fenomeno del degrado, puntando non solo sulla sicurezza ma anche su strumenti collaterali, ascoltando di più il territorio e valorizzando anche una partecipazione dal basso da parte dei cittadini». Conclude Anna: «Lungo la strada le persone invitavano amici e conoscenti e il corteo si è via via ingrandito, abbiamo dimostrato tutti che ci teniamo davvero a Mestre».
Massimiliano Moschin