Da figlio adottivo a padre adottivo. La storia di casa Colucci non solo si ripete, ma alza il coefficiente d’altruismo. Perché il bimbo che Marco corre a prendere dall’altra parte del mondo assieme alla moglie Elena non solo è stato abbandonato dai genitori biologici, ma è privo di un avambraccio.
I coniugi Colucci non l’adottano nemmeno per motivi di infertilità. Zi Li, quel giorno di due anni fa, vede bussare alla sua porta i nuovi mamma e papà insieme a un inaspettato fratellino, Matteo, primogenito biologico della coppia, che non vede l’ora di conoscere il compagno di giochi dagli occhi a mandorla.
Oggi e quarantuno anni fa. Ma la new entry di casa Colucci, quel giorno, vuole tutto tranne che andarsene dalla sua città, Sian, e dalle sue istitutrici. Non fa altro che scappare da quegli strani europei che cercano in tutti i modi di rassicurarlo.
Papà Marco invece, non ha vissuto quel trauma quarantun anni fa, o almeno non può ricordarlo. Da ciò che ha saputo, è nato in un ospedale pediatrico di Milano che sostiene le ragazze madri. E dopo pochi giorni era già al sicuro, qui a Mestre, tra le braccia di quelli che lui definisce i suoi unici genitori.
Anche il destino di Zi Li ha Mestre come meta. Ora, assieme a genitori adottivi e al fratello maggiore, è pure lui parrocchiano di Carpenedo. Quattro anni lui, sette anni il fratello. E una volta arrivato, nel 2015, dopo il battesimo, prende parte alla benedizione delle adozioni, la celebrazione che in Diocesi si ripete ormai da quattro anni e che domenica 17, grazie ad Aibi, ha accolto al Centro Urbani di Zelarino altre decine di figli adottivi del Veneziano. Un gesto ecclesiale e comunitario, all’interno di una messa presieduta da don Pierpaolo Dal Corso, che accompagna e sostiene la scelta adottiva delle famiglie.
Elena e Marco: «È un dono che deriva da Lui». Ed è proprio la fede, per Marco ed Elena, a dare senso a questa scelta. «Sappiamo che l’apertura alla vita della nostra famiglia fa parte del progetto di Dio – concordano i Colucci, da nove anni sposi – e sappiamo che è un dono che deriva da Lui: non ci siamo incontrati per caso e non abbiamo desiderato per caso, con entusiasmo, questa adozione».
Una decisione che, per Marco, non è diventata la restituzione di una grazia ricevuta, quando da quella condizione di abbandono, ad essere salvato è stato prima lui. «È qualcosa di diverso – confida il commercialista – e più profondo. Ho vissuto nella mia famiglia la forza della genitorialità adottiva. E ho sentito presto il desiderio di diventare padre attraverso entrambe le strade, quella naturale e quella adottiva».
Un’aspirazione divenuta convinzione. Un desiderio discusso con l’allora fidanzata, che ha preso le redini della faccenda fino a renderla realtà: «La mia era un’aspirazione che Elena ha trasformato in convinzione». L’hanno deciso prima del matrimonio, «ancor prima di sapere se avremmo potuto avere figli naturali o meno», ricorda l’impiegata.
Quel giorno arrivato presto, in Cina, ci sono altre dieci coppie nella stessa sala, in attesa dell’assegnazione dei piccoli. Nessun inserimento o visita preventiva. Si attende, si prende in braccio il bambino e poco dopo si riparte. In tutta quella confusione, piena di genitori e nuovi figli, Zi Li non ne vuole sapere. «Io, mio marito e il nostro primogenito non facciamo altro che rincorrerlo per mezz’ora. Lui è spaesato, alla ricerca della tata che lo ha appena lasciato».
In tutto questo Matteo, il primo figlio della coppia, è già stato allenato dai genitori. «Andiamo dall’altra parte del mondo a prendere un fratellino», gli dicono prima di partire. «Aveva visto le foto, era felicissimo. Gli abbiamo spiegato che invece di nascere subito con noi era nato da un’altra parte. E dovevamo raggiungerlo ora, che aveva già un anno e mezzo», ricorda commossa la madre.
Per legare fondamentale il gioco. Le note dolenti, ma anche buffe, arrivano con il ritorno a casa. Zi Li avrebbe preferito non avere rivali, racconta divertita mamma Elena parlando della gelosia tra fratelli: «Le coccole dal più grande all’inizio non le vuole, ma quando c’è da giocare insieme le cose cambiano subito, e si lascia coinvolgere». Un passaggio strano, riflette la giovane mestrina: «Ci avevano raccontato che in questi casi sarebbe stato nostro figlio a creare un ponte affettivo tra noi e il nuovo arrivato, ma abbiamo capito che ogni caso è a sé. E di sorprese continuiamo ad averne ogni giorno».
Come la volta che, anche senza l’estremità del braccio, Zi Li ha impara da solo a tagliare con coltello e forchetta sul piatto. O ad arrotolarsi la cintura del judo. «Ogni giorno ci incanta con il suo carattere determinato e le sue scoperte. Ha imparato in un baleno l’italiano, è bastato un mese – racconta la coppia -, ci sorprende perché riesce in tutto quello che fa».
Così le protesi che avevano ordinato prima che arrivasse, di ragione soprattutto estetica, non le hanno mai tirate fuori dal cassetto. Per Zi Li e la sua voglia di vivere sarebbero solo un intralcio.
Giulia Busetto