«Mi è capitato ormai seimila volte, di veder ripartire il cuore di un paziente dopo l’intervento. Ma l’emozione è sempre fortissima»: lo confessa il dottor Domenico Mangino, primario cardiochirurgo dell’Ulss 3 Serenissima all’Ospedale dell’Angelo.
«Sono 3300 gli interventi che ho effettuato fin qui come primo chirurgo, e 2800 quelli a cui ho partecipato – spiega il Primario –; eppure resta cruciale quel momento, riservata a noi cardiochirurghi, quell’istante in cui, terminato l’intervento ‘a cuore fermo’, assistiamo finalmente sui nostri schermi allo ‘spike’, al primo nuovo impulso del cuore che torna a battere».
Verrebbe da definirla quasi come una “superanestesia”: per operare il cuore, lo si ferma, anche per ore, per poi “riavviarlo”… Ci aiuta a capire come si riesce in questa operazione così delicata e così piena di risvolti anche emozionali?
Accade nella quasi totalità degli interventi sul cuore: per i by-pass, per operare sulle valvole, o direttamente sull’aorta all’innesto di questa sul cuore, lo si ferma. Lo si “scollega” dal resto dell’organismo e insieme al cuore vengono scollegati anche i polmoni. Ci aiuta una speciale apparecchiatura, in sala operatoria, chiamata appunto “macchina cuore-polmoni”, perché svolge per tutto il tempo dell’intervento le funzioni che normalmente sono svolte dal muscolo cardiaco, che pompa il sangue, e dall’apparto polmonare, che lo ossigena.
Questo è il primo passo in ogni intervento di cardiochirurgia che viene realizzato “a cuore fermo”…
Esattamente. Intercettiamo il sangue in arrivo al cuore e lo dirottiamo nella “macchina cuore polmoni”: questa lo processa, ossigenandolo, e contemporaneamente lo pompa con regolarità nell’organismo. Nel corpo continua a circolare sangue pompato e ossigenato artificialmente. Ma intanto il cuore è “esangue” e con una soluzione cardioplegica ne fermiamo il battito, così da poter intervenire.
Che cosa accade quando il lavoro del chirurgo sul cuore è terminato?
Ecco il momento magico: è sufficiente che, tolto il “clamp”, la “molletta” che impediva l’accesso del sangue, e il nuovo flusso è sufficiente per risvegliare il cuore. Il battito riprende, e l’emozione di questo momento è grande, per tutta l’équipe. C’è solo un altro momento in cui il mestiere del cardiochirurgo riserva emozioni equivalenti…
Quale?
L’incontro con i familiari in attesa, dopo l’intervento.
Avviene ogni volta, dopo ogni intervento?
Certo. Quando compiamo un intervento “in elezione”, cioè programmato, il dialogo con i familiari è intenso nei giorni precedenti, e l’appuntamento post operatorio è concordato nei tempi, ed è attesissimo. All’Ospedale dell’Angelo avviene nella sala apposita, non lontana dal blocco operatorio. Sui grandi schermi i familiari vedono quando termina l’intervento, come in aeroporto si vede che l’aereo atteso è atterrato; sanno che poi il chirurgo uscirà a parlare con loro, per un resoconto dell’intervento. Ma il colloquio post-operatorio avviene anche quando l’intervento è stato fatto “in urgenza”, dopo un malore, o dopo un incidente: i familiari sono lì e attendono, e con un’apprensione ancora maggiore, per sapere com’è andato l’intervento sul loro congiunto.
Con quali parole si racconta ad una moglie, o ai figli, che il cuore di uomo è tornato a battere regolarmente?
Mi vedono arrivare, e già da lontano per me è inevitabile fare un sorriso, e un gesto con il pollice alzato, perché neanche per un secondo possano pensare che qualcosa è andato storto. Poi si fa il quadro, insieme, dell’intervento e di quello che accadrà dopo. E’ vero che un esito infausto su un intervento di elezione è rarissimo, tanto che la mortalità operatoria della Cardiochirurgia dell’Angelo è pari allo 0,5% degli interventi effettuati… Ma un intervento al cuore resta per i congiunti un evento non da poco. Per questo, comunque, i primi secondi di ogni colloquio sono momenti di fortissima emozione: non avete idea di quanti baci, e di quali abbracci, riceve il cardiochirurgo quando esce dalla sala operatoria.
Per il chirurgo, autore di moltissimi interventi dall’esito quasi sempre felice, questo momento conclusivo può diventare routine…
Nel mio caso non è affatto così. Non solo l’emozione è forte; ma è forte, in questo momento, anche il peso delle ore passate nella sala operatoria; ore faticosissime, ore di grande concentrazione… Un’operazione al cuore dura normalmente circa tre o quattro ore; ma alla mia équipe è accaduto di restare in sala operatoria anche diciotto ore, senza mangiare, senza bere, senza andare in bagno. E comunque la tensione dell’intervento pesa sul chirurgo. Salutati i familiari, quindi, io sento il bisogno, dopo ogni intervento, di un momento mio, nel mio studio: mezz’ora di assoluta “decompressione”, prima ancora di mangiare qualcosa, per scaricare il fisico e la mente. In questa mezz’ora è inevitabile pensare alla persona che è stata a cuore fermo nelle tue mani, e poi a quello stesso cuore che ha ripreso a pulsare, e infine ai baci e agli abbracci del familiari. Inevitabile. Ogni volta.