Sono quasi 150 (147 per la precisione) gli studenti mestrini che si sono meravigliati di fronte al concetto di giustizia riparativa.
È infatti in pieno svolgimento il percorso promosso dalla Caritas veneziana nella scuola: sette le classi (seconde, quarte e una quinta) coinvolte al liceo Stefanini. E si arriverà ad un incontro conclusivo, giovedì 2 maggio al Centro Urbani di Zelarino, per confrontarsi, raccogliere testimonianze significative e giungere ad una prima sintesi.
«Non pensavo che gli effetti sarebbero stati così repentini: dall’inizio dell’incontro al termine delle due ore vediamo cambiamenti che portano a stupore». Lo rileva Martina Libertà, che insieme ad Alberta Grasselli sta conducendo per la Caritas diocesana gli incontri nelle classi. Con loro anche Alessandro Ongaro di Fondazione Esodo onlus.
«I ragazzi – racconta Martina Libertà – partono dall’idea con cui sono cresciuti in famiglia o nel contesto sociale, cioè che la giustizia funziona se è di tipo retributivo. Dove c’è un danno, insomma, c’è la sanzione. Non hai fatto i compiti? Non esci o non usi il cellulare: questa è l’esperienza di ragazze e ragazzi. La logica è: ti infliggo una punizione, qualcosa per cui tu devi soffrire, perché non sei stati ligio al tuo dovere». Poi, nella realtà di cui abbiamo racconto quotidiano dai media, questa logica plasma il mondo penale: hai ferito una persona?, ecco tot anni di carcere. Ne hai uccisa una?, magari ti becchi l’ergastolo.
È il solo modo di fare e vivere la giustizia? No, è la scommessa della Caritas veneziana. C’è anche una logica di riparazione, che si esprime in un percorso che permetta alla vittima e all’autore dell’ingiustizia di partecipare attivamente e liberamente alla risoluzione del “dissidio”, dialogando e con l’aiuto di un terzo imparziale. E sono ormai parecchi i casi in cui due persone o due gruppi hanno accettato questo cammino comune, evitando di rimanere nemici in eterno, in una condizione di dissapore o di odio che perlopiù non viene dissipato dalla punizione o dalla consumazione della pena.
C’è dell’altro, insomma, che consente di armonizzare giustizia e riconciliazione. «È stato bello vedere – riprende l’operatrice Caritas – che anche gli sguardi dei ragazzi che all’inizio apparivano più severi, giustizialisti, perfino apertamente favorevoli alla pena di morte per i crimini gravi, sono cambiati nel giro del paio d’ore dell’incontro. Anche solo vedere in loro la nascita di un dubbio è stato bello».
Giorgio Malavasi