«Non possiamo e non vogliamo farci giustizia da soli e non è giusto che mio figlio dica: io ho paura ad andare a lavorare. Qualcosa va fatto».
È il messaggio di civiltà che lancia la mamma di Giovanni, il giovane di Chirignago oggetto una settimana fa di un’aggressione. Per questo giovedì 27, alle ore 20.30, tutte le persone che vorranno condividere questo messaggio di civiltà potranno trovarsi davanti al bar di via Ivancich dove è accaduto il fatto violento di cui è stato vittima il giovane. Da lì si proseguirà poi in corteo per una camminata-testimonianza: il percorso abbraccerà idealmente Chirignago in un percorso a ferro di cavallo e terminerà in Piazza a Chirignago.
Questo è successo: all’una e mezzo di notte il 19enne Giovanni sta tornando a casa dopo tredici ore di lavoro: quest’estate, infatti, ha trovato lavoro al Lido di Venezia come cameriere. Un coetaneo, suo ex compagno di scuola alla primaria Colombo, che è seduto al bar, lo ferma e gli chiede dei soldi. Giovanni ha dieci euro in portafoglio, guadagnati lavorando, e gli risponde che non glieli darà. Il ragazzo che pretende denaro, oltre a non lavorare, pare abbia precedenti per piccoli fatti di delinquenza…
Giovanni, appunto, non gli vuole dare i soldi: altrimenti – pensa giustamente il ragazzo – si innesca l’automatismo per cui ogni volta l’altro lo aspetta lì al bar per chiedergli denaro. È l’automatismo dell’estorsione. «Non potevo tollerare di farmi complice di questa situazione», dirà poi Giovanni ai suoi, «e gli ho detto di no in tono tranquillo».
Ma di fronte al no il coetaneo lo aggredisce, sferrandogli un pugno in faccia. Giovanni, preso alla sprovvista, cade rovinosamente a terra sul marciapiede e si ferisce. Nonostante sia pesto e sanguinante, e abbia perso gli occhiali, viene costretto a dare i dieci euro.
«E nonostante – prosegue il racconto della mamma – abbia voglia di riempirlo di botte, non lo fa perché altrimenti la cosa si sarebbe trasformata in una zuffa tra ragazzi, ed invece si è trattato di una aggressione con furto e minacce. Noi siamo fieri che Giovanni abbia deciso di non rispondere con la violenza: questo gli abbiamo insegnato, questo ha imparato come scout, in parrocchia…».
Il ragazzo si allontana e chiama subito il 113 e il 118: chi gli risponde, dopo aver ascoltato il suo racconto, gli domanda se è in grado di arrivare autonomamente a casa e andare al pronto soccorso. E anche la volante delle forze dell’ordine non arriva. Sono questi i protocolli?, si domandano piuttosto sorpresi i genitori e non solo loro. Mah…
Sta di fatto che Giovanni, al pronto soccorso, viene medicato con punti di sutura per una ferita al capo di cinque centimetri, così profonda che si intravvedono le ossa del cranio.
«Ma la ferita più grande – riprende la mamma – è quella di essere stato aggredito sotto casa, mentre tornava dal lavoro, senza aver cercato guai. La ferita più grande, per Giovanni, per noi, per tutta Chirignago è che adesso tutti ci troviamo nella situazione di aver paura, di non essere sereni quando i nostri figli sono per le strade vicino a casa».
Per questo viene organizzata la camminata pacifica con partenza dal bar di via Ivancich fino al Circus arrivo in Piazza a Chirignago. «Non solo per solidarietà a Giovanni e a noi, ma perché – come ha detto Giovanni – quello che è successo a lui potrebbe succedere anche ad altri… Non si possono lasciare nel silenzio fatti del genere: è dall’incontro, dalla presenza, dalla condivisione che viene veicolato il messaggio che le persone e le famiglie che vogliono vivere con serenità non possono tollerare la violenza, nei confronti di nessuno. Nessuno contro nessuno: né vendetta, né violenza, ma la presenza sì».
La notizia dell’aggressione ha mosso l’indignazione di tanti e i telefoni di Giovanni e dei suoi familiari sono stati riempiti di messaggi solidali. Anche il presidente della Municipalità e l’assessore comunale alla sicurezza si sono fatti presenti. «Con la marcia – sottolinea la mamma del giovane – ci stiamo assumendo le nostre responsabilità di adulti, genitori e educatori, perché questa cosa va segnalata pacificamente. Dobbiamo evitare che l’aggressione, che finora non abbia avuto conseguenze per l’aggressore, gli consenta di sviluppare un senso di impunità legalizzata. L’unica cosa che ci salverà saranno le parole, che ci permettono di creare rete. Questa iniziativa vuole servire anche per chi ha aggredito, vuole essere un messaggio anche per lui. Perché c’è un modo che fa stare bene tutti, che permette a tutti di vivere in maniera dignitosa. Noi vogliamo dire che questo modo c’è e che le persone non possono essere abbandonate, né noi e neppure l’aggressore. Perché è vero, come ha subito detto anche Giovanni, che nessuno si salva da solo».
Giorgio Malavasi