Franco Carcione, da manager a insegnante di religione: «Ho capito di poter incidere nella formazione dei ragazzi»
In una società così veloce che valore può avere l’ora di religione per studenti iperconnessi, che faticano a dialogare e stare insieme in presenza? Per ragazzi che rinviano il processo di maturazione, sono imprevedibili e sempre alla ricerca di stimoli, sembra difficile trovare interessante un insegnamento istituito con il Concordato fra Stato e Chiesa del 1929 e che dagli anni ’80 del Novecento, con il secondo Concordato del 1984 e la legge 121 del 1985, non è più obbligatorio per gli istituti secondari di primo e secondo grado.
Gli ultimi dati del Ministero dell’Istruzione descrivono un quadro frammentato, con una media di 1 studente su 5 che non si avvale di questo insegnamento, con picchi di 1 su 3 al Nord Italia. La sfida oggi non è quindi tanto interessare i ragazzi, ma quanto farli effettivamente partecipare all’ora di religione, vista come una cenerentola fra le materie. «In realtà è un insegnamento necessario per permettere agli studenti di pensare, ragionare ed esprimersi su argomenti di grande attualità».
Il professor Franco Carcione, manager votato all’insegnamento negli istituti superiori Stefanini e Pacinotti di Mestre, ha un approccio dinamico alla sua materia: «I ragazzi oggi sono molto istintivi, vengono da due anni caratterizzati da difficoltà interiori, soprattutto chi ha terminato le medie in DAD ha una scarsa abitudine a stare insieme agli altri in classe» – aggiunge – «Oltre a dover investire molto tempo per scolarizzarli di nuovo, bisogna aiutarli a rispettarsi fra loro e a imparare a gestire i propri comportamenti».
L’ora di religione allora diventa uno spazio per aiutare a capire sé stessi e stare bene con gli altri: «I giovani hanno bisogno di avere delle guide e percepiscono subito se gli insegnanti credono in quello che fanno e sono loro affezionati, piuttosto che lavorare solo per lo stipendio». Come racconta il professore, «la più grande ricompensa è quando vengo fermato in corridoio per richieste di consigli e vedo poi la riconoscenza degli allievi. Le lezioni diventano una scuola di vita, dove cerco di capire i loro turbamenti per aiutarli a fare pace con sé stessi e prepararli ad affrontare il mondo».
Nei primi mesi dell’anno scolastico, capita che i ragazzi che hanno detto no all’insegnamento di religione assistano alle lezioni in attesa delle attività alternative. Una situazione particolare soprattutto al Pacinotti, dove la presenza multi-etnica e religiosa è maggiore che allo Stefanini. «Mi sorprende vedere l’interesse di studenti di culture diverse e il ripensamento di quelli esonerati», racconta Carcione: «Capita che molti vengano recuperati l’anno successivo e me li ritrovi in classe. E il mio sforzo è ricordare il nome di tutti per dimostrare che non ci sono differenze fra di loro».
L’approccio del professor Franco è figlio anche del suo percorso singolare: attivo come insegnante di religione già dal 1984 e come animatore in parrocchia, dopo la laurea in economia e commercio si concentra sulla carriera, che lo porta a diventare manager in aziende importanti. Il tempo diventa sempre meno, ma il tarlo attraente dell’insegnamento resta. Così, complice una ristrutturazione aziendale, si iscrive alla facoltà di scienze religiose a Treviso e ritrova l’antica vocazione del diffondere la religione cattolica ai più giovani.
«Ero stanco di concentrarmi solo sul business, ho capito che poteva avere più valore incidere nella formazione dei ragazzi. Non c’è budget che tenga quando gli studenti ti cercano e vengono da te perché sei diventato un punto di riferimento, ringrazio Dio per avermi fatto ritrovare un ruolo come “operaio della sua vigna”». Proprio grazie al contatto con il mondo professionale il docente cerca di insegnare l’etica nel lavoro, per dire ai ragazzi che i risultati e la soddisfazione sono figli di sacrificio e impegno, perché quello che viene regalato non fa crescere.
«Se la scuola non forma uomini e donne a che cosa serve?», si chiede il prof. Carcione: «In un mondo che si basa sempre di più sull’intelligenza artificiale, dobbiamo riempire solo di competenze e contenuti?». La risposta del docente è quella di affiancare alla prospettiva di transumanesimo quella di una visione cristiana in cui umanità e solidarietà possano ancora fare la differenza. Con questo approccio l’ora di religione diventa l’opportunità per trasmettere, in modo ampio e universale, una sensibilità e una cultura cattolica che aiutano la vita.
Massimiliano Moschin
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