Undici anni da parroco, cominciando dai suoi quaranta di età.
A S. Lucia di Tarù avrebbe voluto poter dedicare più tempo alle anime della sua comunità. Ma don Fabio Mattiuzzi la prima esperienza di conduzione parrocchiale l’ha dovuta far coesistere con altri incarichi e uffici pastorali. Che lo impegnavano al centro pastorale di Zelarino o da altre parti.
Tirando le somme, alla vigilia dell’ingresso nella parrocchia del Sacro Cuore, a Mestre, sabato 3 ottobre alle 16.30, si dice comunque soddisfatto: «Questi anni mi hanno fatto crescere come prete e come uomo. Lascio una realtà che si è adattata al suo parroco e ai suoi innumerevoli impegni, e, inconsapevolmente, ha acquisito una dimensione diocesana». Va da sé, perché era naturalmente ben informata delle attività che via via nascevano in Diocesi.
Non vuole fare torto a nessuno, don Mattiuzzi, e perciò si limita a far presente in modo generico di essere legato a tutta una carrellata di ricordi: «Volti, persone, storie, tante cose fatte assieme…».
Provando a evidenziare una traccia più profonda delle altre, emergono il 50° della parrocchia, con l’arrivo del corpo di Santa Lucia, l’anno scorso; il 40° della chiesa; il patronato nuovo. Poi qualche nome di collaboratori: preti, diaconi, suore…
Una realtà molto diversa lo aspetta nell’immediato futuro. Certamente più complessa. In via Aleardi, nel cuore di Mestre: «Sto incontrando, ascoltando, conoscendo la gente. Ho preso contatto con i diversi gruppi, compreso il consiglio pastorale, che si è già riunito. Ho fatto una scelta di campo – dichiara con decisione –: spostare l’ufficio in patronato, lì dove c’è la vita della parrocchia».
Un esordio, quello nel centro della terraferma, per la sua vita da prete: «Sulla carta, tanti abitanti; ma molta gente “gira”». Come dire che gira alla larga dalla vita cristiana. «Metà sono stranieri. Ci sono scuole coraniche. La popolazione è mediamente molto anziana». Altro che S. Lucia, dove, se c’è qualche straniero (per lo più signore ucraine), spesso è sposato con gente italiana; e dove il tenore di vita è più alto: per la maggior parte hanno case di proprietà.
Un territorio da conoscere bene, dunque, quello che don Mattiuzzi si appresta ad abitare: con problemi e attenzioni specifiche. «Davanti alla cripta della chiesa c’è uno spaccio “conclamato”». Tanto per dare un’idea. «Una sfida “normale” da un punto di vista pastorale – riflette –; però ci sono alcuni ambienti del tutto peculiari: il Vega, la Fincantieri, la raffineria, l’università… luoghi che richiederebbero un impegno particolare», fa capire col tono di chi pensa di essere di fronte a imprese più grandi delle proprie forze.
Lo stato d’animo è comunque segnato da un desiderio: «Spero di riuscire a instaurare rapporti umani belli con le famiglie, e portare Gesù Cristo con l’ascolto e il sorriso». Lo dovrà fare trovando un equilibrio anche tra diverse anime e sensibilità di fede: Azione Cattolica («l’unica che conosco: provengo da lì»), Comunità Neocatecumenale, Ordine Francescano Secolare… e tutti gli altri.
Giovanni Carnio