«La vera amarezza non è che ho chiuso io, ma che, se non si riesce a fare qualcosa per salvare le piccole ditte, sarà un brutto mondo. Perché continueremo a perdere tante occasioni per incontrarci, per fare relazione, non solo per commerciare…».
Chiara Sanquerin lo dice, appunto, con un velo di tristezza. Il 31 dicembre ha chiuso la sua edicola alla Giustizia, a due passi dall’ex ristorante Dall’Amelia e dalla tangenziale.
Per dodici anni, con la tenacia e la forza di una giovane – oggi ha solo 35 anni – ha fatto di tutto non solo per offrire il servizio migliore, ma anche per cercare vie nuove che rendessero sostenibile, dal punto di vista economico, l’attività.
Ma lo scontro con la crisi generale e con quella specifica del settore editoriale è stata impari. E, come tante altre, anche la sua rivendita di giornali ha dovuto chiudere.
«Ho iniziato nel 2007 – ricorda Chiara – ma già nel 2002 mi ero imbattuta nel settore. Ho lavorato nell’edicola che allora c’era nella stazione di Santa Lucia a Venezia. La domenica mattina non si poteva non stare in due perché era un pellegrinaggio continuo di clienti».
Già nel 2007 i segni della crisi si fanno notare, ma alla giovane mestrina capita l’occasione di rilevare l’attività. Ma da lì in poi sono dodici anni di difficoltà crescenti. I giornali si vendono sempre meno e anche gli altri prodotti editoriali – dai dvd alle opere a fascicoli – hanno successi decrescenti. In dodici anni il fatturato si dimezza, «mentre i contributi Inps – rileva la giovane – non solo non sono calati, ma sono cresciuti. E non era neanche possibile cambiare l’offerta di prodotti: ho aggiunto un po’ di piccola cartoleria, ma i tabacchi non era possibile e anche con le bibite era molto complicato. E anche quaderni e penne non avevano prezzi concorrenziali rispetto, per esempio, ad un supermarket».
Di fatto, un’edicola non riesce a cambiare se stessa, a meno che non si trovi a Venezia. Lì le rivendite di giornali si sono in gran parte trasformate in rivendite di souvenir.
In terraferma, invece, succede il contrario: cioè che altri si mettono a vendere giornali e riviste al posto degli specialisti. Grazie alla liberalizzazione commerciale, infatti, questo succede regolarmente nei supermercati. Che poi il servizio sia peggiore o inesistente, non importa.
«È questo che dispiace», riprende Chiara Sanquerin: «Ma se nessuno si muove per aiutare gli artigiani, i commercianti e le piccole attività, si perderanno la vita e il tessuto di quartiere. E la città sarà tutta fatta di “mostri”, cioè di grandi aziende a basso tasso di umanità».
La vita di quartiere, con la sua ricchezza e le sue fatiche la giovane edicolante l’ha vissuta profondamente: «In questi anni ho lavorato una media di 67 ore la settimana: dieci ore al giorno da lunedì a sabato e “solo” sette ore la domenica. Avevo una mia clientela affezionata, fatta anche di tanti anziani. E gli anziani sono fedeli e consuetudinari, ma hanno bisogno di attenzione. E ti raccontano le loro storie. Spesso vivono da soli e hanno tanto tempo; a volte hanno bisogno di aiuto per le piccole cose: una veniva da me quando aveva problemi con il telefono. Piccole richieste, cui ho sempre risposto volentieri, anche se non tutti capiscono che non tuti i giorni hai voglia o tempo di chiacchierare e che di problemi puoi averne anche tu…».
Ma ci sono anche le soddisfazioni: «Ho fatto amicizia con tante persone, un signore mi portava il caffè tute le mattine, un altro mi ha regalato un salame per Natale… E non era dovuto: l’ha fatto perché ne aveva desiderio. Se sei di animo buono, la gente lo riconosce. E ti ricompensa di attenzioni».
Ora, per Chiara – un diploma al Gritti, tre lingue straniere conosciute bene e un’ottima attitudine alla relazione con le persone – si apre un capitolo nuovo: «Penso a un lavoro nel turismo e ho speranza di trovarlo presto». Come è giusto sia…
Giorgio Malavasi