Caterina Salin era mamma di quattro figli, la più piccola di 7 anni, il più grande di 21. Un tumore l’ha portata via così come, neanche sei anni fa, si era portato via il marito, Pierpaolo Favaretto.
La comunità di Carpenedo, in particolare quella parrocchiale alla cui vita Caterina partecipava con fervore, è addolorata e sconcertata. «Il suo servizio alla famiglia era già una testimonianza enorme per la comunità», afferma don Gianni Antoniazzi, il parroco di Carpenedo, che sabato 21 alle 15, nella chiesa parrocchiale, presiederà la Messa delle esequie. «Ma Caterina si era data da fare anche nella nostra casa parrocchiale di Gosaldo: sempre attiva, propositiva, disponibile…».
«Oggi – riflette don Gianni – cerchiamo un senso per un fatto del genere, ed è un senso difficilissimo da trovare. Di certo non va cercato nella responsabilità di Dio o nell’assenza di Dio; semmai va rinvenuto nella responsabilità dell’uomo».
Una responsabilità collettiva, chiarisce don Antoniazzi: «L’uomo, cioè l’umanità, dovrebbe investire più energie, più attenzione, più intelligenza nelle ricerche per curare il cancro e le altre malattie gravi. Invece investe in ricerche finalizzate al divertimento, all’egoismo, alla realizzazione di strumenti di morte…».
Troppe forze, insomma, vengono disperse. Eppure proprio un fatto tragico come la scomparsa di Caterina, 49 anni, e, prima, di Pierpaolo – e il loro lasciare quattro figli così giovani – dovrebbe essere un monito per non dissipare energie… «Lo si spera – sottolinea il parroco di Carpenedo – ma ciò che si osserva è che l’uomo tende a esimersi dalle responsabilità».
Ciò che invece produce un minimo di sollievo è la solidarietà che già si sente forte attorno ai quattro piccoli o giovani orfani: «Qui a Carpenedo – osserva ancora don Gianni – vedo una comunità molto attenta a diventare una grande famiglia per coloro che restano. Ma accanto a Carpenedo vedo anche l’ambiente di lavoro – Caterina lavorava al porto di Venezia – che si fa avanti con tanta voglia di aiutare. Una grande e bella generosità, per la quale è giusto auspicare la durata e la continuità dell’impegno anche oltre i primi momenti di grande commozione». (G.M.)