Che la pandemia abbia incrementato il numero delle persone in difficoltà – dai senzatetto ai tossicodipendenti – incontrate ed aiutate dalla Comunità di Sant’Egidio di Mestre, per Maurizio Nizzetto sarebbe sbagliato affermarlo.
Lui, membro del gruppo da poco prima dell’inizio del lockdown, sottolinea piuttosto quanto l’emergenza sanitaria abbia avvicinato qualche nuovo volontario, anche giovane, a dimostrazione di come l’isolamento a cui siamo stati forzati abbia mosso qualcosa “dentro”.
Di come abbia fatto sorgere nel cuore – forse – una domanda di fondo: cosa posso fare io per gli altri? «Che a livello generale, di territorio, il Covid abbia causato nuove situazioni di difficoltà, anche a seguito della perdita del lavoro, è vero. Ma non si tratta – commenta Nizzetto – di persone finite in strada. Quelle da noi incontrate, insomma, sono rimaste perlopiù le medesime di sempre».
È un’attività condotta il mercoledì di ogni settimana, quella della Comunità, la cui referente è Alessandra Molani, che non si è mai fermata, neanche nella fase di stop più dura, iniziata nel marzo 2020. Una missione avviata circa dodici anni fa, per garantire un sostegno agli “amici” – come i membri del gruppo chiamano coloro a cui offrono la propria vicinanza – attraverso un incontro capace di andare al di là della semplice consegna di un pasto, ponendo al centro quel contatto umano che può fare la differenza, fatto di ascolto ed amicizia.
«Il nostro compito sta anche nell’orientare la persona, in base alle necessità, verso quei servizi che fanno al caso suo, portati avanti anche da altre realtà, come Croce Rossa e Casa dell’Ospitalità». Far rete, dunque, nella consapevolezza di come qualche volta si sia riusciti a dare concretezza ad un micro progetto.
Un caso su tutti, quello di un quarantenne straniero, senza dipendenze, ritrovatosi a vivere in strada e gradualmente accompagnato a riprendere in mano la propria vita. Adesso lavora all’estero, per un’azienda edile.
Il mercoledì i volontari (circa trenta, di età varia) preparano una trentina di sacchetti con all’interno un panino, un frutto, delle mascherine, dell’acqua e un dolcetto fatto in casa, particolarmente apprezzato. Poi un momento di preghiera, seguito dall’arrivo alle 21 nella stazione di Mestre, dove c’è chi si limita a raccogliere il proprio pasto e chi invece si ferma un po’ di più, scambiando due parole. La stessa cosa avviene anche in centro, zona in cui i volontari vanno in cerca piuttosto dei giacigli, e nell’area di Panorama, a Marghera, dove una macchina si sposta portando con sé i sacchettini pronti. Il tutto fino alle 23, dividendosi in squadre.
«Portare avanti questo tipo di servizio non è facile», spiega Maurizio, sottolineando come il rischio sia quello di farsi “travolgere” dalle situazioni con le quali si entra in contatto. Per questo è importante saper gestire la cosa, dandosi anche delle piccole regole, come non condividere il proprio numero di telefono o distribuire denaro. Ma è pur vero che qualche relazione più profonda, ogni tanto è inevitabile che si instauri. «D’estate troviamo molte più persone per strada (di solito dalle 25 alle 40 circa), nei loro giacigli, anche in edifici abbandonati. Mentre d’inverno alcuni, specie gli “amici” con dipendenze importanti, diventano stanziali nelle Case dell’ospitalità. Va detto che non sempre sono contenti di questo, poiché stare accanto a persone con i medesimi problemi, per loro non è cosa facile».