«Sono convinto che abbiamo ricevuto più noi da quei bambini e dai loro accompagnatori rispetto a quello che noi abbiamo dato a loro. Sono stati giorni spensierati, ma soprattutto molto emozionanti». Per raccontare la storia di solidarietà di fede che si è intrecciata con San Donà, Jesolo e Kiev, Gianfranco Vallese parte dalla fine. Dai saluti, ma anche dai messaggi di ringraziamento ricevuti dopo che bambini e accompagnatori ospitati per 17 giorni sono rientrati a Kiev. E soprattutto dall’emozione ricevuta per questa scelta di accoglienza che trasmette nel raccontare questa storia.
L’inizio risale alle scorse settimane, quando il vescovo ausiliare di Kiev, Oleksandr Yazlovetskiy, lo scorso dicembre arrivato a Jesolo per l’inaugurazione altrettanto emozionante del Sand Nativity, ha chiesto aiuto a don Gianni Fassina, parroco di San Giovanni Battista, per ospitare per alcuni giorni dei bambini, con accompagnatori, provenienti dalla diocesi di Kiev. Fatte alcune valutazioni il parroco è riuscito a mettere in contatto la diocesi di Kiev con Gianfranco Vallese, assicuratore di San Donà, che dall’inizio della guerra ha già compiuto diverse missioni verso l’Ucraina per portare in Italia dei cittadini ucraini e per raccogliere alimenti e beni di necessità. «Appena ho ricevuto questa richiesta mi sono attivato per l’organizzazione – racconta Vallese –, in questa iniziativa mi hanno aiutato due famiglie di amici, le famiglie Bustreo e Pasqual. Mi sono recato personalmente a Cracovia per recuperare i bambini e accompagnatori arrivati da Kiev.
In totale erano in 11, due accompagnatori, ovvero una suora e una ragazza di 18 anni, e il resto bambini di 11 e 12 anni. Li abbiamo ospitati nelle nostre case, mentre la religiosa è stata accolta all’Istituto Saretta». A San Donà sono rimasti dal 1° al 17 giugno. «Sono stati coinvolti nelle attività pomeridiane del Don Bosco – prosegue Vallese – mentre nei fine settimana siamo andati al mare a Jesolo, ma anche in visita a Venezia e a Padova. L’obiettivo è stato quello di dare a queste persone un minimo di serenità rispetto al dramma della guerra». Profonda l’emozione data e ricevuta. «Queste persone ci hanno colpito per la loro educazione e per la loro fede – conclude Gianfranco Vallese – i primi giorni avevano la paura negli occhi, erano abituati al suono delle sirene. Un po’ alla volta hanno recuperato un po’ di serenità. Ma siamo stati noi, alla fine, che abbiamo ricevuto di più da questa esperienza».
Giuseppe Babbo