La comunità di Passarella di Jesolo raccolta sul sagrato della chiesa parrocchiale, le candele in mano. L’arrivo del Patriarca di Venezia, Francesco Moraglia. Lo scambio di saluti con le istituzioni e i cittadini e la processione che si avvia all’interno della chiesa per la celebrazione eucaristica e la dedicazione della casa di Dio (foto di Cristina Terreo).
«Un momento importante per tutta la comunità che resterà scolpito nella storia di questa realtà», lo ha definito il vescovo. E così è stato vissuto dai tanti fedeli che domenica 4 giugno hanno riempito la seppur piccola chiesa della frazione di Jesolo, segno di un’attenzione al sacro che ancora è presente, specialmente nelle piccole realtà.
«E’ un momento importante – ha ribadito dunque il Patriarca di Venezia alla comunità – perché la chiesa ci dice qualcosa di importante tra tutti gli edifici di una città: ci ricorda che non tutto è nelle mani dell’uomo. La chiesa è una catechesi viva in una città, in un paese. E’ un elemento che ci ricorda chi siamo, che l’uomo è immagine di Dio e che non esaurisce tutto nel suo cammino terreno. Pensate cosa sarebbe una città se avesse solo fabbriche, fattorie, campi, abitazioni e scuole, ma non avesse una chiesa».
L’aspersione con l’acqua santa di tutti i muri dell’edificio sacro, la deposizione alla base dell’altare delle reliquie di S. Aurelio martire e l’unzione con il crisma dell’altare stesso. Gesti che dicono l’importanza della dimensione spirituale accennata da Moraglia.
«Abbiamo bisogno del sacro soprattuto oggi – ha quindi aggiunto -. Il rischio più grande che corre l’umanità è di chiudersi in una forma di secolarismo, quell’atteggiamento che mette da parte Dio. Questo è il male fondamentale nella vita di una persona o di una comunità. Abbiamo bisogno di molte cose ma ci dimentichiamo che quella più importante è Dio. La chiesa al contrario ci ricorda che noi siamo destinati a qualcosa che va oltre il momento presente ma che dipende profondamente da come viviamo il momento presente».
«Noi siamo chiamati ad essere santi – conclude – e per poter esserlo abbiamo bisogno del sacro e viverlo in prima persona ogni giorno. Può accadere, come successo a San Paolo, di essere folgorati dalla Grazia di Dio, ma queste sono eccezioni. Vivere il sacro con gli strumenti che ci vengono messi a disposizione ci aiuta nell’incontro con Dio e la liturgia in questo senso rappresenta la prima e fondamentale catechesi».
Pierpaolo Biral