di Michele di Bari
Tutto inizia tra il 1575 e il 1577 quando Venezia, colpita dalla peste, decise di erigere una chiesa, intitolata a Cristo Redentore, quale ex voto per liberare la Città dall’epidemia, mentre per la sua fine, realizzò, il 20 luglio 1577, sul canale della Giudecca, un ponte di barche per raggiungere la Basilica palladiana.
Una processione che si rinnova ogni anno in cui il popolo esterna la propria devozione per chiedere protezione al Redentore .
La festa testimonia anche il rapporto che la Serenissima vive da sempre in simbiosi con il mare e con la laguna, dove migliaia di persone, in sosta sulle imbarcazioni , attendono il fantasmagorico spettacolo pirotecnico. Non viene assolutamente disperso il momento culminante della festa che si conclude con la Messa solenne, presieduta dal Patriarca di Venezia, nella Basilica del Redentore.
Questi i fatti! Rispetto al “novum”, cioè agli eventuali insegnamenti che la festa può rassegnare in un’epoca, segnata da repentine innovazioni nel costume, nella tradizione e nella tecnologia, ma anche nel versante della fede, dell’etica e della morale, ci si deve porre la domanda cruciale se davvero la generazione dei figli ha maggiori certezze di quella dei padri. Oppure, se il “ notum” può considerarsi sufficiente per affrontare le sfide del moderno o del post moderno.
Il ponte votivo con la sua intrinseca simbologia è lì, in alcuni determinati giorni, che interroga l’uomo davanti al Redentore per rappacificarsi con il tempo, di cui si avvertono non poche difficoltà per le risposte che iniziano a circolare nel mondo dell’intelligenza artificiale.
Il ponte, ben piantato e ben realizzato, resta lì, per pochi giorni: una frontiera del pensiero interrogante che, ormai da cinque secoli, alla gratitudine per la fine della peste, aspira a riannodare i fili della storia in cui il dialogo tra le generazioni possa diventare reciproco arricchimento, sperimentando nuove forme di solidarietà, nuovi paradigmi del linguaggio. Una processione dunque che esalta lo spirito di una comunità che, anche nei frangenti più critici, ha mostrato di sapersi rialzare e di procedere speditamente verso il futuro-
Oggi, tuttavia, a fronte della complessità della società, i campanelli d’allarme che provengono da ogni dove, e che mettono a nudo la caducità dell’uomo, spesso privo di riferimenti, impongono la riscoperta di valori che il fluire del tempo ha affievolito nel passaggio tra le generazioni.
Tracce di una attenta analisi, sono emerse nella Messa solenne del Santissimo Redentore, in cui il Patriarca Francesco, in modo diretto, individua nella “questione educativa” la piattaforma per costruire un patto generazionale, capace di andare oltre il “politicamente corretto”, cui nessuno può chiamarsi fuori , richiamando il binomio libertà e responsabilità.
Soggetti privilegiati di questa “alleanza” sono la famiglia, la scuola, la Chiesa, che nel tempo hanno subìto un’incrinatura che ha colpito soprattutto i giovani .
Per il Patriarca Moraglia «Educare, dunque, è segno di responsabilità e invito alla responsabilità; una responsabilità condivisa che riguarda tutti e che, per questo, acquisisce rilevanza sociale in quanto entra nella vita di una città, di una regione, di una nazione, dell’intera famiglia umana. il suo popolo verso il Redentore». John Lennon diceva: «La vita si svolge sotto i nostri occhi; purtroppo noi siamo spesso occupati a guardare altrove nel vuoto». Ci sovviene, ancora una volta, l’archetipo del ponte votivo che è sempre lì per indicarci un orizzonte, per riempire il vuoto della solitudine, per chiarire che la libertà è l’ideale connubio tra diritti e doveri , guidata dalla responsabilità.