La tragica morte di Michele Scarponi ha un solo, piccolo lato positivo: quello di riportare all’attenzione di tutti il problema della sicurezza dei ciclisti.
Anche a Mestre, anche nel Veneziano – dove ci si muove con una certa frequenza pedalando – il problema è forte e sentito.
Non c’è una soluzione: ci sono tante soluzioni da mettere in campo. Ci sono intanto quelle che riguardano le scelte dei ciclisti. Ci sono dotazioni di sicurezza fondamentali eppure poco diffuse: uno specchietto retrovisore, un clacson degno di questo nome e non un semplice campanello, un giubbotto catarinfrangente, luci di potenza adeguata per farsi vedere quando c’è buio o nebbia… Per finire con la correttezza e il buon senso, che non si comprano al supermercato, ma che sono basilari. Ragion per cui si rispettano le regole del codice della strada e non ci si distrae mai.
Poi ci sono le soluzioni che riguardano le istituzioni. Come ampliare la rete delle piste ciclabili, che non necessariamente devono essere costose “strade” in sede separata; a volte sono ottime già le corsie disegnate sul margine della carreggiata, purché ben segnalate, sull’asfalto e con cartelli.
Poi ci sono gli incentivi per una mobilità a due ruote. E disincentivi per la mobilità privata su quattro ruote. Scommetteremmo che trenta automobilisti su cento, di quelli che superiamo ogni mattina pedalando sulla Miranese, fanno semplicemente il tragitto casa-lavoro, da soli, nella loro scatoletta a quattro ruote, percorrendo 3-4 chilometri all’andata e altrettanti al ritorno. Tutti costoro potrebbero andare in bicicletta, se non tutto l’anno, nove mesi su dodici.
Forse basterebbe, come già fanno alcuni piccoli Comuni italiani e una grande capitale come Parigi, supportare con dieci centesimi al chilometro chi va in bici. Crescerebbe il loro numero e ne trarrebbero giovamento sia l’ambiente che la sicurezza.