Nel corso della giornata di oggi, domenica 13 giugno, il Patriarca Francesco Moraglia ha recato la reliquia più insigne custodita fuori Padova dalla Basilica della Salute alla Basilica del Santo. Un cammino di fede e di carità per marcare un segno di vicinanza a coloro che hanno sofferto e stanno soffrendo a causa della pandemia. Questa l’intenzione del Patriarcato di Venezia nell’accogliere l’invito del Rettore della Basilica del Santo, padre Oliviero Svanera, rivolto nelle scorse settimane al Patriarca al fine di compiere una “peregrinatio” della reliquia dell’avambraccio custodita nel tempio votivo della Madonna Salute per il voto della Serenissima del 1651.
Infatti proprio su invito dei frati della Provincia di Sant’Antonio si è sviluppato questo cammino che ha toccato tre luoghi significativi per questo tempo di fatica e dolore: l’ospedale civile dell’Angelo di Mestre, la parrocchia di Sant’Antonio di Marghera, il Covid-hospital di Dolo. Tre tappe cadenzate da tre momenti di affidamento e di intercessione che si sono conclusi con la benedizione con la reliquia impartita dal Patriarca. Il servizio logistico è stato offerto dall’Arma dei Carabinieri, sia per il trasporto acqueo (fino a San Giuliano) sia via terra. Ad accompagnare il Patriarca, padre Oliviero Svanera, rettore della Basilica del Santo e la comunità del Seminario Patriarcale con don Fabrizio Favaro, rettore sia del Seminario che della Salute, il vicerettore don Marco Zane e mons. Enzo Piasentin, padre spirituale.
Giunti nei pressi della Basilica del Santo a Padova il Patriarca, accompagnato da padre Svanera e da don Fabrizio Favaro, rettore della Basilica della Salute, è salito su un mezzo scoperto dei Carabinieri per raggiungere il sagrato ed entrare in chiesa, accolto dal vescovo delegato pontificio mons. Fabio Dal Cin e dal vescovo di Padova mons. Claudio Cipolla.
Nel corso della celebrazione della Santa Messa il Patriarca ha ricordato il senso e il valore del pellegrinaggio che «richiama anche oggi la volontà di ritornare a Dio, di rivolgersi a Lui, di convertirsi, ossia di camminare lungo le strade di Dio». Francesco Moraglia ha poi ripercorso le tappe di preghiera nei due ospedali: «Durante il tragitto ho ricordato coloro che hanno sofferto e chi ha pagato con la vita; in particolare – passando dalle parti di Mira e Borbiago – la dottoressa Samar Sinjab, medico di base, amata dai suoi pazienti, morta di Covid nell’aprile 2020 e poi sostituita dal figlio, anch’egli medico. Con lei vogliamo ricordare il sacrificio e il lavoro di tante persone (dalla sanità alle forze dell’ordine, da chi ha compiti di gestione e amministrazione della cosa pubblica alla protezione civile ecc.) che si adoperano per il bene e la salute di intere comunità locali».
Non è mancato un rinnovamento dell’appello per la liberazione del veneziano Marco Zennaro: «La sua salute fisica e psicologica desta gravi preoccupazioni confidiamo che le iniziative poste in atto a suo favore permettano risolvere la complicata vicenda, preghiamo affinché Marco possa al più presto essere restituito alla sua famiglia, così duramente provata da tale drammatica vicenda».
Il cuore della riflessione del Patriarca Francesco è stato tutto rivolto alla figura del grande santo portoghese: «Insigne e appassionato predicatore, tanto da essere proclamato da Pio XII “Dottore evangelico” per i suoi continui richiami al Vangelo, dotato di grande capacità d’attrarre la gente del suo tempo, Antonio ha portato quella Parola di Dio di cui noi oggi abbiamo più bisogno di ieri. Sì, soprattutto coloro che vivono il tempo della prova e della sofferenza, ma tutti abbiamo bisogno d’esser “ristorati” in primo luogo dalla Parola di Dio, perché il “ristoro” che ci serve per ripartire davvero non è solo quello economico (pur necessario) ma dell’anima, del cuore. È quel “ristoro” che dà senso e forza e fa amare la vera sapienza, come s’esprime la prima lettura: “La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto… L’ho amata più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce, perché lo splendore che viene da lei non tramonta. Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile” (Sap 7,8.10-11). È quell’intreccio mirabile, ispirato dal Vangelo, che la tradizione cristiana ha sintetizzato nelle opere di misericordia materiali e spirituali, ad evidenziare la profonda unità dell’uomo e di come la fede cristiana tocchi profondamente ogni dimensione della vita».
«L’uomo è un’unità vitale – continuava il Patriarca – e attraverso questo suo essere – materiale e spirituale – si rapporta con Dio, con gli altri e la realtà che lo circonda. L’antropologia biblica – la visione dell’uomo secondo la Scrittura – ci dice che l’uomo è nefesh (respiro e soffio vitale), è dotato di ruâch (vento e soffio divino, forza che viene dall’alto) e anche basâr (carne, relazione sociale, l’umanità che ci accomuna non senza debolezze e fragilità). Ma l’uomo rimane un tutto, distinto e non separabile, anche se già ai tempi di Gesù accanto al concetto di “carne” dell’antica concezione ebraica compare una nuova espressione – guf – che significa “essere cavo, incavato” che richiama un qualcosa, un corpo, che ha bisogno d’essere riempito, abitato e completato da un’anima. Praticare le opere di misericordia corporali e spirituali ci fa ritrovare l’unità e – per dirla con san Paolo – giungere “fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,13). Patrono dei poveri e dei sofferenti, Antonio è stato presto definito il “Santo dei miracoli” perché la sua fama di compiere prodigi – quando era in vita, subito dopo la morte e poi grazie alla sua continua intercessione – è stata sempre ben presente nel culto a lui riservato. Parecchi miracoli furono attribuiti lui vivente – anche se ci sono storici che dibattono sulla veridicità di taluni fatti – ed alcuni sono stati immortalati col linguaggio e le raffigurazioni dell’arte (la predica ai pesci, la mula che si prostra davanti alle specie eucaristiche, le guarigioni ecc.). Non mancano, peraltro, fonti antiche che attestano fatti prodigiosi con Antonio ancora in vita – alcune predizioni e profezie, la guarigione di una bambina rattrappita al passaggio del Santo per le vie di Padova ecc. – mentre non sussistono dubbi (ci furono ben due inchieste in proposito) sui miracoli operati dal Santo a favore di persone colpite da diversi tipi di infermità immediatamente dopo la sua morte e in occasione della traslazione della sua salma. Le inchieste arrivarono anche ad elencare, a mo’ di esempio e solo come alcune tra le tante, le più sicure, il numero e la tipologia di guarigioni operate “per i meriti del beato Antonio”. Ma questa serie di prodigi non si è fermata – i frati del Santo potrebbero testimoniarlo per esperienza diretta – ed anzi arriva ininterrotta sino a noi, oggi, confermando ed anzi rafforzando il carattere di “taumaturgo” proprio di sant’Antonio, invocato, venerato, ringraziato e amato da fedeli di tutto il mondo».