«Il mio primo viaggio internazionale al seguito di Giovanni Paolo II fu nell’87, a Buenos Aires. E fu un’esperienza straordinaria, vissuta a due passi dal Papa. Grazie a Joaquìn Navarro Valls».
Lo ricorda Salvatore Mazza, giornalista di Avvenire, oggi in pensione ma che per tanti anni ha seguito e raccontato il Pontefice, anche grazie alla Sala Stampa vaticana diretta da Navarro Valls.
Un episodio, fra tanti, lega Mazza al portavoce dei Pontefici, spentosi mercoledì scorso, a Roma, all’età di 80 anni.
«Ricordo che salii sul volo papale – racconta Mazza – e, siccome la cosa era stata cosa decisa all’ultimissimo momento, non avevo neanche l’accredito. Perciò passare i posti di controllo era sempre una sofferenza; e ci riuscivo con una schedina dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni, che in Argentina nessuno conosceva, per cui… mi lasciavano passare».
Per quelle strane combinazioni che a volte accadono, la sera della veglia nella capitale argentina, un sabato sera, Mazza si ritrova sul palco: «Là dove non dovevo essere. Ma un po’ nascondendomi e un po’ mostrando quel passepartout “magico”, un po’ facendo la faccia tosta, mi ritrovai sul palco papale. Ero salito solo per fare fotografie e per avere una visione d’insieme di quella sterminata piana strapiena di gente. Senonché, quando stavo per scendere, mi accorsi che non potevo farlo, perché stava arrivando il Papa. Allora mi nascosi un po’ in disparte. Quando Giovanni Paolo II arrivò, dietro di lui c’era anche Navarro che, ad un certo punto, mi vide – nascosto com’ero dietro ad una tenda – e mi chiese: “Ma tu che ci fai qui?”. Lasciamo perdere – gli risposi – che poi te lo racconto. Lui si fece una gran risata e mi tenne vicino a sé per tutto il resto della cerimonia, così da garantirmi una visuale unica per guardare l’evento, una prospettiva che mai mi sarei aspettato di poter godere».
Era fatto così Joaquìn Navarro Valls, ricorda oggi Salvatore Mazza: «Una persona semplice, attenta a tutti, cordiale con tutti e soprattutto presente con tutti. Sapeva però che doveva riuscire a far passare il grande messaggio della Chiesa. E secondo me ci è riuscito».
E ci è riuscito, secondo il giornalista di Avvenire, realizzando – con pazienza, tenacia e acume – una grande operazione di comunicazione: «Il suo merito più grande è stato di riuscire a dare un respiro molto più ampio alle notizie delle Santa Sede, ad ottenere loro un respiro internazionale».
Il vaticanismo – prosegue Mazza – cioè l’attività dei media che si occupano di ciò che il Papa dice e fa, «prima di Navarro Valls era un affare tipicamente italiano. Difficilmente l’informazione sulla Santa Sede passava le Alpi: c’era qualcosa in Francia, qualcosa in Spagna, ma praticamente nulla nel resto d’Europa e del mondo, se non per eventi particolarissimi».
Una conseguenza, questa, della storia e della geografia della Santa Sede, per cui la stragrande parte dell’attenzione per la vita del Vaticano era appannaggio dei media italiani. «L’arrivo di un Papa polacco, però, polarizzò l’attenzione anche dei media stranieri; ma era soprattutto attenzione verso il personaggio Wojtyla, che riusciva a tenere la scena mediatica. In più si guardava a lui, in quella fase storica, per ciò che significava un Pontefice venuto da un Paese d’oltrecortina. Ma l’informazione sui grandi temi teologici e sul dibattito post conciliare era molto limitata».
E qui si innesta l’opera del portavoce di Giovanni Paolo II: «Navarro – rimarca Mazza – ha avuto il grandissimo merito, con molta pazienza, argomentando molto e un po’ “coccolandosi” i giornalisti, di portare in prima pagina i temi della Chiesa anche in paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Cina…, dove questi temi erano del tutto assenti. La Chiesa cattolica, anche grazie a lui, è stata accreditata del ruolo di grande autorità morale sovranazionale: un ruolo che nessuno oggi mette in discussione. Questo è stato il grande merito di Navarro Valls ed è la sua grande eredità».
Giorgio Malavasi