Studenti di Belle arti che imbrattano di vernice rossa gli storici leoncini veneziani, un 15enne che sale di notte sul tetto di un centro commerciale chiuso (…e si gioca la vita) pur di farsi un selfie, un altro adolescente che finisce schiacciato da un muletto anche lui per gioco, un docente preso in ostaggio a Vicenza e vittima, lui, dei bulli, il 14enne morto soffocato per un gioco estremo scoperto sul web.
Sono episodi che nelle ultime settimane hanno riempito le pagine dei giornali e che sembrerebbero non aver nulla in comune. E invece no, se ci fermiamo un attimo a pensare. Il sottile filo rosso che li lega è un rapporto sempre più difficile tra adulti e ragazzi. Una distanza che non si colma. Ai più giovani non riusciamo a trasmettere principi e valori scontati fino a pochissimo tempo fa: l’importanza della propria vita, la capacità di distinguere il pericolo, il rispetto dell’autorità, il senso di responsabilità.
Ogni azione ha la sua conseguenza. Facile dare la colpa a tutto e tutti, al mondo cattivo, a chi non ha controllato. Ma la verità è che quei ragazzini sul muletto dell’azienda chiusa o sul tetto del centro commerciale di notte non dovevano proprio starci. Non hanno percepito il pericolo, non glielo abbiamo insegnato.
Facile stigmatizzare i vandali e i bulli al grido di “punizioni esemplari”… Chiediamoci però se a questi ragazzi abbiamo insegnato che il bene comune è bene di tutti, che bisogna difenderlo perché nostro, innanzitutto, oltre che di altri. I detenuti del carcere veneziano provvedono alla piccola manutenzione della struttura per imparare la cura delle cose nel luogo in cui vivono. Ecco: impariamo da loro.
Smettiamo di trovare alibi, di scaricare le responsabilità, di delegare agli altri l’educazione dei nostri figli. Mettiamoci in gioco in prima persona e, prima di puntare il dito contro gli altri, facciamoci venire un dubbio: di chi è davvero la colpa?
Chiara Semenzato