GV ha visitato la fabbrica, dove le lavorazioni dei tessuti preziosi sono top secret tanto che neppure gli operai conoscono tutti i passaggi. Quest’anno ricorre il 150° anniversario della nascita del fondatore.
Sono stati mesi duri, quelli in cui fabbrica e showroom Fortuny, con sede storica nell’isola della Giudecca, si sono dovuti rassegnare al lockdown. Ma solchi profondi si può dire non ne siano stati rilevati.
«Essendo rimasta più in casa, la gente ha pensato di rinnovare, sostituire, reinventare l’arredamento. E noi abbiamo cercato di rispondere subito alle richieste, inviando campioni e garantendo la massima disponibilità. Questo il risultato: siamo stati ripagati dalla gran voglia di “bello”». Carla Turrin, responsabile dello showroom attualmente in fase di restauro (i lavori proseguiranno per qualche settimana), apre le porte di un mondo che continua a custodire gelosamente i segreti di un’arte artigiana avviata da Mariano Fortuny nel 1922. Preceduta da un’attenta ricerca del personale, quasi interamente giudecchino, che richiese una quantità considerevole di tempo.
Il 2020, l’anno più fruttuoso in ambito artistico. È davvero una gradita eccezione poter conversare nello splendido giardino in passato appartenuto – e fortemente voluto per invitarvi i colleghi d’oltreoceano – alla designer americana Elsie McNeill Lee. Lei, che restò abbagliata dai tessuti firmati Fortuny, appositamente creati per il Carnavalet di Parigi, alla morte di Mariano divenne proprietaria dell’azienda, rilevandola nel ’51 su insistenza della vedova. Fino all’arrivo degli attuali proprietari, la famiglia Riad. «Insomma, dal punto di vista della produzione e della vendita non abbiamo subìto importanti flessioni. E in ambito artistico il 2020 ha rappresentato l’anno più generoso». La chiusura forzata ha portato infatti alla collezione “Imago”, presentata poche settimane fa, di ben 25 tessuti: numeri senza precedenti. Il tutto grazie all’inventiva del direttore artistico, che in fase di stop ha dato libero sfogo alla fantasia. Proponendo come fil rouge della collezione quel senso di rinascita cui tutti oggi aspiriamo. «Mariano Fortuny (di cui quest’anno ricorre il 150esimo dalla nascita, mentre nel 2022 si celebrerà il secolo di vita della fabbrica ndr) ha avuto l’intuizione di utilizzare questi spazi al termine della Prima Guerra mondiale, per realizzare un tessuto – commenta Turrin – che all’epoca, e in un certo senso tuttora, presentava una grande innovazione». Ossia l’utilizzo di un materiale semplice da reperire e relativamente economico come il cotone che, attraverso un particolare procedimento artistico, veniva trasformato. Così tanto da sembrare – allora come oggi – seta.
Un mondo segreto. «Il Fortuny rappresenta una punta di diamante della produzione tessile mondiale, realizzato in un luogo magico come questo». Blindatissimo al mondo esterno, per tutelare i segreti di una tradizione che non è mai mutata nel tempo. E lo stesso vale per i macchinari che inventò Mariano, manutenzionati dai dipendenti stessi in sede. Aspetti che non possono che contribuire a rendere l’azienda una realtà non clonabile, esattamente come i tessuti prodotti con grande maestria. «Ogni stoffa, anche se appartenente al medesimo articolo, è un capitolo a sé. Il che vuol dire che le nostre creazioni sono uniche, esclusive, non più riproducibili». Non a caso il motto dell’azienda è “tutte le produzioni sono belle, ma mai uguali”. «I lavoratori sono una trentina. Gli ingressi in azienda sono molto ponderati: si tratta di un posto particolare, in cui sono richieste persone con determinate qualità. Passione per il prodotto, pazienza e fedeltà». D’altronde per la segretezza, al Fortuny, «vi è una ricerca quasi spasmodica. Il risultato? Qui un gran ricambio generazionale non c’è, proprio perché la produzione è tenuta segreta, nonché suddivisa in comparti per tenere separati i vari passaggi. Pochi sono coloro che ne hanno accesso», riflette la responsabile, soffermandosi sui rapporti con l’estero. Mercato estero. Se grazie al contributo di McNeill Lee i tessuti Fortuny hanno raggiunto gli Stati Uniti – con cui c’è sempre stato un canale preferenziale – diventando dal ‘26 la distributrice esclusiva per il mercato americano, d’altro canto non va dimenticata l’Europa. Mentre per altre realtà («alcuni mercati hanno cominciato ad aprirsi e ad essere curiosi del “bello”, che non significa solo “fashion”») le cose hanno iniziato a muoversi solo nell’ultimo periodo. «Per il futuro, alla base c’è voglia di fare, di crescere. Chi lavora qui sente un forte senso d’appartenenza: questo è un luogo che ci portiamo dentro. Sempre. E non potremmo immaginarlo in nessun altro posto, se non a Venezia. Il Fortuny si nutre di ciò che lo circonda».