Ointerviene l’Europa e mette un freno a certi appetiti troppo voraci o rischiamo di perdere lo zucchero italiano. E che per dolcificare la tazzina di caffè dobbiamo aprire una bustina con su scritto “made in Germany” o “made in France”. Ben che vada…
«I produttori stranieri svendono barbabietole e zucchero. Cioè vendono il loro prodotto in Italia sottocosto. Se vendessero agli stessi prezzi che praticano sul mercato interno, anche noi italiani saremmo concorrenziali».
Lo dice Carlo Pasti, amministratore di un’azienda agricola di 550 ettari che, nel Veneziano, produce colture estensive: mais, soia, frumento; e un’ampia estensione è dedicata alla barbabietola da zucchero, tanto da far sì che la produzione della “Frassina” a Marango di Caorle sia la più ingente della provincia.
Il guaio è che cinque grandi aziende – due tedesche, due francesi e una inglese – che insieme si spartiscono l’80% del mercato europeo, sono tentate di andare avanti ancora un bel po’ con questo livello di costi – tanto hanno le spalle grosse – con il non troppo celato intento di ridurre alla fame i piccoli concorrenti.
Il piccolo concorrente italiana si chiama Coprob, che sta per Cooperativa produttori bieticoli. È un superstite, visto che solo dieci anni fa, nella Penisola, erano attivi diciannove zuccherifici. E gli imprenditori agricoli che si dedicano alla barbabietola si sono ampiamente ridotti.
Dieci anni fa, in Italia, si producevano 1,4 milioni di tonnellate all’anno, più o meno l’80% del fabbisogno del Paese. Oggi siamo tra le 250 e le 300mila tonnellate, ovvero proprio la produzione di Coprob; e la superficie coltivata a barbabietola è scesa da circa 230mila e circa 40mila ettari.
Per non parlare dei lavoratori: erano 7mila, oggi a fatica superano i mille.
«Prenderci per asfissia – prosegue Pasti, associato a Confagricoltura Venezia – è stata la loro strategia. Adesso pare che qualcosa stia cambiando. Dopo un 2017 di sovrapproduzione, che ha consentito di applicare la vendita sottocosto delle eccedenze, il 2018 ha visto risultati inferiori e forse non sarà più così facile, per i produttori stranieri, vedere in Italia a prezzi stracciati».
Il problema è che una tonnellata di zucchero costa, a Coprob, più o meno 400 euro; e lo rivende a 350 euro. Da Francia e Germania, d’altronde, lo zucchero parte per l’esportazione in Italia a 260-270 euro la tonnellata. Ovvio che, con valori così sottocosto, non si va tanto avanti. Specie, appunto, se si è piccoli…
E chi beneficia di questa situazione? Gli agricoltori no, il consumatore finale neppure. Perché, a parte il chilo di zucchero comprato al supermarket – che ormai costa tra 60 e 80 centesimi (ma i consumi delle famiglie rappresentano il 15% del mercato) – i consumi più importanti non hanno visto cali dei prezzi.
L’85% dello zucchero prodotto, infatti, viene utilizzato dall’industria delle bevande gassate, da quelle delle creme stile Nutella e da quella delle marmellate.
«Per fortuna – aggiorna l’imprenditore veneziano – alcune grandi aziende dell’agroalimentare italiano, come Barilla e Ferrero, si sono impegnate a sostenere i produttori di Coprob comprando zucchero italiano. Coprob, con i suoi due stabilimenti – quello veneto di Pontelongo e quello emiliano di Minerbio – mira a promuovere lo zucchero 100% italiano anche grazie alla grande distribuzione tramite Coop, Esselunga ed altri. Di recente abbiamo realizzato anche una campagna pubblicitaria e abbiamo ottenuto un incremento di vendite del 20%, segno che il valore aggiunto dell’italianità del prodotto è riconosciuto dai consumatori».
Ma la soluzione vera dovrà essere politica. E continentale. Dopo la fine del regime delle quote produttive, che l’Unione europea ha abolito due anni fa, dando il via alla liberalizzazione del settore, consentendo così alle maxi-aziende dello zucchero di subissarci con le loro eccedenze, bisogna equilibrare il mercato.
Se l’unica regola, infatti, è quella di lasciar produrre a dismisura i grandi produttori del nord Europa, senza nessuna clausola di salvaguardia, diventa quasi fisiologico che i grandi produttori siano indotti ad azioni predatorie. È la legge del liberismo puro, che non guarda in faccia a nessuno perché guarda solo l’obiettivo del massimo profitto.
Perciò è necessario che la politica ponga un equilibrio. O lo zucchero italiano diventerà insopportabilmente salato.
Giorgio Malavasi