Carissimi, quest’anno ci apprestiamo a vivere il Natale senza quei momenti che ne costituiscono il suggestivo prolungamento umano. Non potremo quindi incontrarci per festeggiare con persone a noi care con le quali eravamo soliti vivere qualche ora di familiarità e amicizia. Tale decisione, che è scomoda per tutti, seppur con motivazioni diverse, è della politica che ha nel Dna la ricerca del consenso. L’aver assunto una misura così impopolare dice la gravità del momento. L’augurio è che la politica sia vicina alla gente e attenta al bene comune per questo, come cittadini, auspichiamo minore conflittualità quando si deve decidere impegnando il futuro della collettività. Purtroppo, la pandemia continua a farci soffrire, aggiungendo dolore a dolore, fatica a fatica. Non sono, quindi, solo i troppi lutti, le guarigioni faticose e non scontate, i lavoratori in difficoltà; è in ballo la tenuta economica complessiva e, all’orizzonte, appare una società impaurita, sconcertata, arrabbiata; il futuro, poi, di fronte alla variante inglese del ceppo, non è rassicurante.
Non poter vivere con le persone care, proprio le festività natalizie, ferisce e mortifica. Covid 19 ci ha privato di tante cose, adesso anche del Natale inteso come festa carissima per noi e i nostri bambini. Come cristiani, però, dobbiamo considerare tali dolorose limitazioni come occasione per riflettere e per “liberare” il Natale da quella immagine mondana di cui era stato rivestito. Il Natale, indubbiamente, da anni, aveva infelicemente assunto forme non sue. I Vangeli, infatti, parlano di povertà (mangiatoia), di pastori (gli ultimi), ma anche di una stella (Mistero); quindi il Natale è, insieme, “povertà”, “umiltà” e “soprannaturale”. L’uomo non deve solo nutrirsi e vestirsi ma ha bisogno di “senso” e di “amore”. Il Natale di Gesù non è quello delle feste smodate e mondane, del lusso, dei regali costosi o nel quale non è politicamente corretto nominare neppure il nome del festeggiato. Sì, la festa così cara ai cristiani, da tempo, ormai, risponde a criteri commerciali, consumistici, mentre la notte di Betlemme ci parla di tutt’altro.
Anche per chi lo voleva, era diventato difficile andare oltre le esteriorità di una festa diventata solo regali, pranzi, cene e vacanze. Esempi ne abbiamo avuti tanti in questi giorni, alla televisione, dove il Natale viene abbinato al cenone, a cibi pregiati, quasi che le feste natalizie consistessero in una grande abbuffata. Certamente, il Natale va vissuto anche nelle relazioni umane: festa, famiglia, amici, doni, perché tutto ciò completa la festa dei credenti col criterio della sobrietà coniugata con la gioia. I doni, infatti, nel loro significato originale, sono simboli del “Dono” che il Padre fa di sé nel Figlio. I regali sono simboli di Gesù. I momenti di festa e i regali, sul piano umano, se contenuti nell’autentico spirito, danno compimento al Santo Natale, come le luci che ci ricordano che la Natività è Luce per l’umanità intera. D’altro canto Gesù è “la luce del mondo”. Ma questi momenti e gesti hanno finito per ampliarsi a dismisura diventando il tutto del Natale e, alla fine, lo hanno sostituito fino ad oscurarlo: al punto che non si parla di Gesù Bambino ma di “nonno gelo”, giungendo a censurare i canti natalizi che ne contengono il nome e a “velare” e “offendere” il presepio che, in sé, è annuncio e catechesi per grandi e piccini.
Leggere oggi i segni dei tempi, vuol dire allora non soggiacere alle restrizioni che la pandemia ci impone ma, a partire da essa, ripensare la festa del Natale e “ricentrarla”, recuperarla nel suo profondo significato del Dio-con-noi. Dobbiamo rivalutare quei gesti, quei momenti che abbiamo dato per scontati e di cui ora avvertiamo la mancanza; penso ai cammini spirituali, liturgici e caritativi fatti con le nostre comunità, ai momenti ecclesiali che ci accompagnavano, passo dopo passo, alla capanna di Betlemme. Con prudenza e nel rispetto delle norme richieste, riscopriamoli con amore e coraggio. Guardiamo alla famiglia, piccola Chiesa domestica, con i genitori, i figli, i nonni; ciascuno, in forza del sacerdozio battesimale, diventi per gli altri Vangelo. E che dire, per esempio, di un momento di preghiera dinanzi al presepio alla sera? Proviamo, proprio in quest’anno. Il presepio è, per eccellenza, segno del Natale, e prima d’essere oggetto d’arte è un chiaro riferimento al Mistero, al silenzio, alla preghiera; in esso vi è fortissimo il richiamo all’essenzialità della vita, senza la quale il Natale diventa una caricatura di sé e ciò avviene ogni volta che la logica mondana prende il sopravvento.
Il presepio ci riporta al Natale del 1223, quando frate Francesco, ritornato da Betlemme dove aveva partecipato alle celebrazioni liturgiche rimanendone estasiato, chiese a papa Onorio III il permesso di allestire in un bosco, poco fuori dal convento di Greccio, la scena della natività: una mangiatoia, una grotta, col bue e l’asino. Il Natale non è una favola, né un ricordo dell’infanzia, al contrario, narra l’evento che ha cambiato la storia. Quando Dio assume la fragile carne umana, è l’Eterno che irrompe nel tempo; da quel momento la speranza assume un volto umano concreto, un nome, non è più solo un desiderio; è la realtà che accade e chiede la conversione. E da quel momento la storia non sarà più la stessa; il Natale è inizio, è novità, è l’”oltre” di Dio con gli uomini. Quest’anno, lo ripeto, abbiamo l’occasione di ritornare all’origine del Natale, liberandolo dalle incrostazioni della mondanità. Un vero “appello” al nostro modo d’essere discepoli del Bambino di Betlemme. Il Natale è evento che chiede d’essere adorato. Guardiamo ai personaggi del presepio, vi troviamo i pastori e i magi che vengono per adorare, Giuseppe che nel silenzio esprime la vera sapienza, la Vergine che con la Sua fede rende possibile l’impossibile e lo dona al mondo. A tutti auguro un santo Natale che conforti quanti sono provati dalla pandemia; il Bambino Gesù benedica tutti con la sua piccola, fragile, onnipotente manina.