Il tema è delicatissimo. Fatto più di condizionali che di affermazioni perentorie e punti esclamativi. In poche parole: c’è una relazione tra il Covid-19 e l’attuale situazione di cambiamenti climatici e inquinamento? E, venendo ai nostri territori “padani”: c’è una correlazione tra l’esplosione così violenta e aggressiva del coronavirus e l’inquinamento da polveri sottili? Una prima risposta, complessiva, si può già dare: tra cambiamenti climatici e i nuovi virus una relazione esiste, certo da precisare e quantificare. Insomma, almeno un poco ce la siamo andata a cercare.
Ma la questione (anche se non è l’unica) che in questi giorni sta suscitando un grande dibattito è proprio quella della correlazione tra la diffusione del virus e la presenza a livelli record di pm10 in Pianura Padana. L’idea è venuta a molti, vedendo che il virus ha attaccato in modo più forte un’area metropolitana molto inquinata, Wuhan, in Cina e la zona d’Europa dove l’aria è più irrespirabile, il Norditalia. Difficile che sia solo una coincidenza, hanno pensato in molti. Tra questi anche un’équipe di ricercatori dell’Università di Bari e della Società italiana di medicina ambientale (Sima), che la settimana scorsa hanno lanciato una vera e propria “bomba”: un “position paper”, cioè una sintetica e ipotetica anticipazione di uno studio più approfondito. Vi si sostiene che questa correlazione è qualcosa di più di un’ipotesi, e riguarda sia la trasmissione del virus, sia l’impatto della salute umana. Il mondo scientifico ha reagito in vari modi all’ipotesi avanzata dall’équipe. Va detto che molti scienziati si sono mostrati scettici e anche l’Arpav del Veneto ha fatto sapere in questi giorni che non esistono evidenze.
“I primi a usare il condizionale siamo noi – risponde Alessandro Miani – presidente della Sima e docente all’Università Statale di Milano -. Abbiamo pubblicato un position paper e avanzato alcune ipotesi. Ma presto, molto presto, uscirà la ricerca vera e propria. Non so ancora cosa emergerà con precisione, ma ritengo che alcuni si ricrederanno. Quello che abbiamo fatto, è partire dai dati delle centraline ufficiali e dei contagi, la coincidenza è impressionante. E siamo in contatto anche con altre università europee, in particolare spagnole, per dare una valenza più ampia alla nostra ricerca”.
Le pm10 un “deltaplano” per il virus
Le ipotesi da cui partono i ricercatori sono due. La prima è che il particolato delle polveri sottili funzioni da “carrier” o da “booster”, cioè da “trasportatore” da “propagatore” del virus. In pratica è come se il Covid-19 prendesse un deltaplano, cioè una particella di polvere sottile, per atterrare più lontano. Se tale ipotesi venisse confermata, vorrebbe dire che la distanza di diffusione non è più di uno o due metri, ma è destinata ad aumentare, “magari a cinque o sei metri, e farebbe una bella differenza”, dice il docente. La seconda ipotesi è che la forte presenza di polvere sottile indebolisca già il fisico e l’apparato respiratorio in particolare. In tal modo, il virus agirebbe in modo più forte e immediato. Sarebbero spiegati sia i maggiori contagi che i tanti decessi registrati nell’area padana, e in particolare in Lombardia.
Il caso della Pianura Padana
Prosegue Miani: “In ogni caso, occorre partire dai dati dell’Agenzia europea per l’ambiente, secondo la quale ogni anno nel nostro continente 75mila persone muoiono anche per colpa dell’inquinamento atmosferico. Una buona percentuale di questi viene nella Pianura Padana, dove l’aria è particolarmente stagnante, tanto che anche in queste settimane, con pochissime auto e attività produttive chiuse, i livelli faticano a scendere. E’ assodato che i pazienti di queste regioni presentano delle maggiori fragilità all’apparato respiratorio e cardio-circolatorio e una minore capacità di sopravvivenza in certe situazioni. Qui si sta parlando di 75mila persone all’anno, anche senza il coronavirus”.
Se, poi, “vogliamo analizzare anche altri fattori, dobbiamo dire che l’Italia ha molti primati negativi: per esempio 10mila casi su 30mila in tutta Europa per «resistenze batteriche» negli ospedali. Lo dico perché alcuni studiosi, come Ilaria Capua, hanno parlato di «cattiva aria» nei nostri ospedali. Oppure, ricordo che nel nostro Paese la prima causa di morte in età pediatrica è il cancro. Al di là di quello che le ricerche confermeranno sulle nostre ipotesi, mi pare sia già evidente che dobbiamo cambiare paradigma. L’augurio è che, al termine di questa dura prova, ci sia una ripartenza in chiave sostenibile. Anche perché tutto ci dice che potrebbero esserci nuove pandemie e quindi bisogna prepararsi per le sfide future”.
Bruno Desidera