«A 4 mesi dal voto del 4 marzo, e ad un mese esatto dal giuramento del nuovo Governo la “grande attesa” per il primo atto economico si riduce ad un provvedimento molto ideologico e poca sostanza. Registriamo un pregiudizio verso le imprese”. E’ il giudizio a caldo del Presidente di Confartigianato Imprese Veneto Agostino Bonomo alla lettura del cosiddetto “Decreto Dignità” approvato la scorsa notte dal Consiglio dei Ministri.
«Ci aspettavamo – prosegue Bonomo – politiche di sviluppo e di incentivo per il lavoro ed invece ci troviamo nuove complicazioni ed il rischio di maggiori costi per chi intende avviare dei nuovi rapporti di lavoro. Anche in tema di stretta alla delocalizzazione, temo, si metta in atto un provvedimento dopo che i “buoi hanno lasciato il recinto».
«Troviamo poi inutile – prosegue Bonomo – l’aumento dei costi di licenziamento dato che, almeno nel mondo della piccola impresa veneta, chi assume lo fa per investire in quella persona e non certo per licenziarla. Sull’irrigidimento dei contratti a termine invece, quello che preoccupa noi imprenditori è che il Governo non sembra rendersi conto di cosa significa fare impresa nella filiera della manifattura. La risposta in tempi rapidi è uno dei principali fattori di competitività delle imprese e limitarla non produrrà posti di lavoro aggiuntivi. Per fortuna esiste il sistema di flessibilità e welfare che abbiamo creato con la bilateralità, altrimenti avremo migliaia di imprese fuori mercato. Le disposizioni sul lavoro, insomma, si riducono ad una modesta rivisitazione della disciplina del lavoro a termine, connotata da un pregiudizio anacronistico verso le imprese, più che dalla volontà di avviare una genuina modernizzazione del lavoro e delle sue regole».
Stando ai dati di Veneto Lavoro, nella nostra Regione, nel 1trim del 2018 – sono i dati proposti da ConfartVeneto – le assunzioni a tempo determinato sono significativamente cresciute rispetto all’anno precedente (+26%) dimostrando una propensione positiva delle imprese verso questa tipologia contrattuale che si conferma la forma contrattuale largamente prevalente (85%). L’indice di trasformazione (contratto a tempo determinato – contratto a tempo indeterminato) inoltre, si conferma decisamente positivo, a conferma del fatto che il contratto a tempo determinato rappresenta spesso il trampolino di lancio verso un’occupazione stabile.
«Aumentare i costi per il rinnovo del contratto a termine – prosegue Bonomo – non pare essere determinato da ragioni di tipo sistematico (es. irrobustimento del welfare) ma da intenti di tipo sanzionatorio punitivo nei confronti delle imprese che assumono a termine. Meglio sarebbe stato ridurre ulteriormente i costi del lavoro a tempo indeterminato. Ma nemmeno questo si è fatto. Anzi, al di là di ogni coerenza, si è previsto un innalzamento dei costi di risoluzione per contratti a tempo indeterminato».
«Temo – conclude Bonomo – che il provvedimento risponda ad esigenze di narrazione ideologica e sia poco aderente al quotidiano vissuto delle imprese e dei lavoratori italiani».