La sera del 12 novembre del 2019 è rimasta impressa indelebile nella memoria dei veneziani: la seconda acqua alta, dopo quella del 1966, ha travolto e danneggiato gli appartamenti al piano terra, i negozi, le attività, ma anche tantissime chiese. E molti danni si vedono ancora in città. Alcuni di questi, anzi, sono rimasti latenti e stanno emergendo solo ora.
Lavori in attesa. Questo in particolare si nota nelle chiese del centro storico, dove le asseverazioni dei professionisti hanno stimato che ci sono ancora danni per 3 milioni e 800 mila euro. «Moltissimi lavori non si possono affrontare proprio perché manca la copertura economica» spiega l’architetto Andrea Gallo, incaricato dalla Curia di seguire i lavori per i danni causati dall’Acqua Granda. «L’ammontare della cifra poi è riferita ai riscontri svolti nell’immediato, subito dopo l’evento mareale. I problemi causati dall’acqua alta però hanno continuato ad avanzare sotto traccia e quindi il danno oggi è sicuramente superiore a quello stimato inizialmente. È un processo molto lungo. Solo oggi infatti – spiega Gallo – si iniziano a vedere realmente i danni causati due anni fa nelle chiese, dovuti a umidità e incrostazioni saline che non si è riusciti a rimuovere su materiali quali marmo e legno. Alcune chiese andrebbero svuotate e ripristinate rifacendo anche la parte elettrica, ma non ci sono i fondi necessari».
Contributi pubblici, assicurazioni e fondi parrocchiali. Dopo l’acqua alta sono stati svolti interventi immediati d’urgenza in ben 67 chiese e 4 case canoniche. Con il contributo erogato dal Comune sono arrivati 1.334.116,45 euro, per un massimo di 20 mila euro per ogni chiesa e 5 mila euro per ogni canonica. Visto che i soldi non bastavano a coprire il costo dei lavori sono allora subentrate le assicurazioni, che hanno riconosciuto i danni correlati all’acqua alta di tetti e impianti elettrici per un totale di 217.025,40 euro. «Certe parrocchie poi – continua Gallo – hanno dovuto investire personalmente per permettere di continuare alcuni interventi di messa in sicurezza». I lavori nelle chiese sono iniziati quasi tutti contemporaneamente già a gennaio 2020, giusto il tempo di ricevere i permessi dalla Sovrintendenza e accordarsi con le ditte. Tutti i lavori di ripristino hanno riguardato in particolare la sistemazione di tetti, finestre lesionate, intonaci, porte, dipinti, manufatti in legno e impianti elettrici e di riscaldamento. Molta attenzione è stata data a pavimenti e altari, i cui interventi sono consistiti in accurate puliture, desalinizzazioni e consolidamenti. «Il primo lavoro ad essere stato avviato è stato quello al pavimento della Sala Gotica nella chiesa di San Zaccaria, seguito da quello al pavimento, alle zone basamentali degli altari e alcuni gradini di accesso al presbiterio di San Giacomo dall’Orio, dove prima sono stati messi in sicurezza i dipinti su tavola raffiguranti “I profeti” che avevano preso acqua».
Interventi che in alcuni casi sono stati conclusi poco tempo fa: «L’ultimo lavoro che ha visto definitivamente chiudere i cantieri avviati dopo l’emergenza si è concluso a fine ottobre nella chiesa di Santo Stefano. Qui, dopo un lavoro di pulizia e consolidamento svolto agli elementi lapidei e lignei, è stato necessario installare un sistema di pompe per permettere la fuoriuscita dell’acqua, per un costo di 4.600 euro di cui si è fatta carico la parrocchia stessa». In alcune chiese, poi, è stato necessario intervenire con maggiore attenzione, come in quelle di Santo Spirito e Santa Fosca: «Chiuse da tempo e non presidiate al momento dell’inondazione – riferisce l’architetto – hanno avuto più problemi. Qui anche il salvabile non è stato salvato, come i banchi andati completamente sott’acqua».
Francesca Catalano