Ha viaggiato in tutto il mondo, senza escludere i paesi più poveri e pericolosi. Anzi. Cercandoli proprio. E lo fa pure adesso che di anni ne ha collezionati parecchi, ben 88, ma non sufficienti a fermarla: Etiopia e Bolivia sono state le sue più recenti mete. Non per turismo, ma per portare aiuto e solidarietà concreta.
Giorgia Porro, vedova Saccardo, negli ultimi tempi ha scelto di aiutare fattivamente la Fondazione Elena Trevisanato. «Ho sempre sostenuto numerose attività benefiche, ma avevo il dubbio che non tutto quel che veniva donato fosse destinato effettivamente ai progetti previsti. In questo caso, invece, so che neppure un centesimo viene sprecato». Alla base c’è una conoscenza di antica data con la famiglia Trevisanato, ma anche la partecipazione attiva ai suoi progetti: «Dico sempre a Liliana che lei fa quel che fa in ricordo di sua figlia, io per mio marito. E da tanto dolore arriva anche tanta gioia». Così, la signora Porro non si perde un viaggio in Etiopia e anzi spesso è lei a spronare l’amica Liliana a partire.
Con l’auto carica di medicine. Del resto, il viaggio rappresenta una componente fondamentale della vita della signora Porro, ma sempre declinato in chiave solidale e culturale. Il marito Salvatore Saccardo, scomparso 24 anni fa, era uno stimatissimo medico veneziano, mentre lei era crocerossina: «Con l’auto carica di medicine e il simbolo della Croce Rossa siamo andati nei paesi più diversi a portare medicinali e a visitare malati», racconta ritornando con la memoria agli anni ’50-’60. «Si può dire che mio marito, medico cattolico, sia stato un precursore, anzi un ideatore, di Medici Senza Frontiere». Con quell’auto, i due coniugi hanno percorso migliaia di chilometri, raggiungendo persino il Pakistan: «La gente ci fermava per strada per farsi visitare. Il nostro obiettivo era sempre e solo salvare vite umane».
Una vigilia di Natale, al confine tra Libia e Tunisia. Il dott. Saccardo praticava la professione a Venezia e utilizzava le ferie per i suoi viaggi umanitari. «Ricordo una vigilia di Natale, era il 1964, alla frontiera tra Libia e Tunisia. Un uomo che lavorava lì al confine chiese a mio marito di visitare la moglie, che stava molto male. Entrammo in casa, la signora aveva un tumore e, oltre ad alcune medicine, non c’era altro da fare che ricoverarla in ospedale. Intanto mi arrivò vicino un bambino piccolissimo, ricordo che gli dissi: “Ecco, tu sei Gesù Bambino”. E’ uno dei ricordi che mi è rimasto più impresso nel cuore. Tutti i viaggi – conclude la signore – sono stati importanti, sono state delle vere e proprie missioni, più che viaggi, e tutte entusiasmanti».
Serena Spinazzi Lucchesi
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