I poveri, quelli tradizionali, senza una casa e con ben poco di cui vivere, sembrano svaniti nel nulla. A Venezia si contano davvero sulle dita di una mano. La povertà, però, non è scomparsa. Ha solo cambiato pelle. Lo constata, giorno dopo giorno, il direttore della Caritas Stefano Enzo e con lui i volontari che operano nella struttura di Casa San Giuseppe alle Muneghette di Castello, insieme ai parroci che con la Caritas collaborano.
«E’ vero che la povertà oggi si misura con determinati parametri, come l’Isee, ed è vero che in questo caso le persone che vivono sotto la soglia di povertà, in Italia come qui a Venezia, sono tantissime. Ma dobbiamo intenderci su cosa significa davvero essere poveri oggi: possiamo considerare povera una persona che vive con la pensione minima, ma che è inserita in un contesto sociale, come può essere una comunità parrocchiale, che ha dei famigliari presenti, che ha una vita di relazione? Secondo me – spiega il diacono cui il Patriarcato ha affidato da 8 anni la direzione della Caritas diocesana – oggi la vera povertà sta soprattutto nella solitudine, nell’incapacità o impossibilità di tessere relazioni, nel non sapere o non poter accedere a certi strumenti di sostegno e di assistenza. E’ per questo che anche le strutture di carità stanno evolvendo, diventando sempre più duttili, per intercettare i nuovi bisogni».
I senza dimora hanno trovato casa. L’esempio eclatante è, appunto, a Venezia dove negli ultimi due anni, complice la pandemia e alcune azioni di effettivo reinserimento nel tessuto sociale, i poveri in senso tradizionale quasi non ci sono più: «Alcuni bandi di edilizia popolare, così come il reddito di cittadinanza, hanno fatto sì che venissero avviati dei percorsi di reinserimento nel territorio per diverse persone. Questo, ad esempio, ha portato a svuotare il dormitorio della Tana: c’erano 9 ospiti fissi che erano lì da tanto tempo, qualcuno da più di dieci anni. A queste persone è stata trovata una casa». Di fatto, i senza dimora tradizionali sono due o tre in tutto. «E sono quelli che non intendono in nessun modo farsi aiutare». Si assiste in parallelo, come si diceva, all’insorgenza di altre forme di povertà. «E’ per quello che insisto anche come Osservatorio delle povertà: va benissimo osservare, ma serve ora fare rete e dare risposte ai nuovi bisogni», sottolinea Stefano Enzo. L’esempio portato dal direttore della Caritas riguarda proprio la situazione della mensa delle Muneghette, che – complice anche il periodo estivo – ora sta accogliendo a cena tre persone (cinque a pranzo): «Queste tre non avrebbero neppure bisogno di venire in mensa. Uno lavora e gli altri due sono pensionati: ma vengono per avere compagnia e addirittura uno di loro viene solo per ricaricare il telefono, che a casa, non si sa bene perché, non può ricaricare… Dunque queste persone vengono qui per accedere a dei servizi e soprattutto per avere compagnia, per incontrare altre persone».
La gestione difficoltosa del quotidiano. La povertà, per qualcuno di questi, sta soprattutto nell’essere soli e nel non sapere come gestire la vita quotidiana: «Uno di loro – spiega il diacono – ha ricevuto la casa, ma non sa farsi da mangiare». Il rischio è che, pur in presenza di casa e lavoro, certe situazioni possano precipitare nel degrado, per ragioni sanitarie, sociali, ma anche pratiche: «Magari qualcuno di loro non sa più come si tiene pulita una casa. Per questo dico che si dovrebbero mettere insieme tutti i soggetti del territorio, mettendoci in rete, a partire proprio da noi che siamo in prima linea nell’intercettare certi bisogni. Ma non più solo per osservare, bensì per proporre progetti concreti che rispondano a queste nuove esigenze. Penso ad esempio ai progetti di “seconda accoglienza”, che accompagnano le persone all’autonomia. E poi – aggiunge il diacono Enzo – servono luoghi di aggregazione, laddove la pandemia ha fatto sparire alcune occasioni date da centri parrocchiali e associazioni». In questo senso la Casa San Giuseppe alle Muneghette può rappresentare un luogo duttile da progettare anche in futuro in base alle necessità insorgenti. «Sarà sempre più luogo di riferimento e di aggregazione per chi è solo. E poi – prosegue Stefano Enzo – con l’apertura del terzo piano ci saranno alcuni alloggi da utilizzare per progetti di seconda accoglienza, che riguardano persone in momentanea difficoltà. O che hanno perso il lavoro e di conseguenza l’alloggio, oppure che sono appena usciti dal carcere. O altre emergenze abitative, come quella dei profughi ucraini ospitati nei mesi scorsi (ne parliamo a pag. 4). Per quanto riguarda la mensa andranno fatte delle valutazioni, subito dopo l’estate. Anziché i pasti, forse sarà possibile prevedere alcune aperture pomeridiane, perché questo spazio diventi luogo di incontro e di socializzazione, perché le persone si sentano accolte». Un modo per rispondere, appunto, alle nuove povertà. Quelle di tipo relazionale soprattutto.
Famiglie in crisi economica. Questo non vuol dire che non ci siano persone in difficoltà economica a Venezia. Anzi. «Sono le famiglie che hanno perso la fonte di reddito a causa della pandemia. Ma queste non vengono e non verranno alla mensa dei poveri. Piuttosto – spiega il direttore Caritas – chiedono un pacco spesa alla parrocchia o all’Emporio della Solidarietà di Sant’Alvise, dove l’associazione di cui è presidente Anna Brondino, sta facendo un lavoro davvero importante». E torna il tema della relazione e della rete: «Una decina di queste famiglie, proprio rivolgendosi all’Emporio per i pacchi spesa, ha poi trovato un’opportunità lavorativa. Per quanto riguarda noi di Caritas – prosegue Stefano Enzo – al centro d’ascolto ci rendiamo conto che in molti casi la difficoltà di una famiglia sta nel gestire il proprio bilancio famigliare, specie se ha delle rate da pagare e magari ha temporaneamente perso una fonte di reddito. E’ qui che si può intervenire dando una risposta concreta a chi è in difficoltà». Alle Muneghette, infine, è previsto che si trasferiscano alcune associazioni del territorio. Mentre alcuni spazi sono già destinati – e usati per questo – per gruppi parrocchiali o associativi che intendano fare formazione. La duttilità degli spazi è un’opportunità.
Serena Spinazzi Lucchesi