«L’auto elettrica non è ecologica». Sgombriamo il campo da quest’idea, anche a costo di capovolgere la percezione che ormai è di tanti, se non di tutti. La mobilità elettrica ha i suoi vantaggi, ma non è la soluzione di tutti i mali e ha i suoi cospicui punti deboli.
Ad argomentare i distinguo, che danno sostanza a questa affermazione forte – «l’auto elettrica non è ecologica» – è Andrea Stocchetti, del Centro per l’innovazione automobilistica e della mobilità (Cami) di Ca’ Foscari.
L’occasione per ragionare sul tema è un sorpasso storico: nello scorso mese di settembre, per la prima volta in Europa, stando ai dati della società di ricerca Jato Dynamics, riportati da Bloomberg News, l’auto più venduta nel Vecchio Continente è elettrica: è la Tesla Model 3.
La Tesla Model 3 è una vettura totalmente elettrica e il primo distinguo, per il prof. Stocchetti, sta proprio qui: «La vendita di auto solo elettriche è molto concentrata in pochi Paesi, solo su segmenti alti, che riguardano cioè vetture costose, e solo laddove ci sono incentivi importanti e anche… discutibili. In Germania un’auto elettrica costa 27mila euro, ma la si porta a casa a 14mila. In Francia stessa cosa. Dove ci sono questi fortissimi incentivi e dove c’è un’opinione pubblica stimolata sul tema, si vendono tante elettriche. Il caso eclatante è la Norvegia, dove le auto elettriche hanno le tasse azzerate, mentre le non elettriche le hanno maggiorate; per cui per una Golf si paga 48mila euro mentre solo 28mila per la Model 3».
Se invece si guarda alle ibride, che sono auto elettrificate, si nota che i loro tassi di crescita e di diffusione – di tutti i modelli, dalle utilitarie alle grandi vetture – sono uniformi in tutti i Paesi. «Ecco perché – prosegue il docente – vedo due modelli di sviluppo diversi e quello del solo elettrico sembra ancora tanto sostenuto dagli incentivi».
Ma il passaggio alle auto elettriche è la via segnata?
L’elettrificazione sì, è la via segnata; l’elettrico puro è improbabile, invece, che diventi la scelta dominante. Anche perché ci sono novità in arrivo su altri fronti. Per esempio: la società che gestisce la Formula 1 ha annunciato l’arrivo di un carburante sintetico, ecologico, che potrà essere usato dappertutto, che non richiederà combustibili fossili, che dovrebbe derivare dal riutilizzo di scarti derivanti dall’economia circolare e che avrà impatto ambientale bassissimo. E non lo annuncia uno qualunque, ma una società che opera in un mondo “estremo”, nel quale sono estremamente bravi: la Formula 1 ha i motori più efficienti del pianeta dal punto di vista energetico. Per cui potremmo domani assistere al ritorno dei motori a combustione interna, ma con combustibili verdi. E poi il futuro è l’idrogeno. Quella a idrogeno è un’auto elettrica, a tutti gli effetti, ma con un impatto – a molti livelli – decisamente più contenuto. Innanzitutto richiede batterie molto più piccole, perché attraverso la trasformazione dell’idrogeno si crea energia elettrica e quindi la batteria che fa da tampone ha dimensioni ridotte.
Quali sono le principali perplessità a proposito di automobili elettriche?
Intanto l’energia elettrica prodotta in Italia non ha l’impatto di quella prodotta, chessò?, in Danimarca: loro hanno molta più energia da fonti rinnovabili, noi usiamo il carbone per produrla. C’è poi il problema dello smaltimento delle batterie a fine vita. Ma in particolare c’è che, a tecnologia attuale, le batterie contengono litio e cobalto, minerali pericolosi e che, soprattutto, vengono estratti in Paesi che hanno politiche del lavoro assolutamente opache.
Ovvero?
Se penso al cobalto, le miniere più importanti al mondo sono in Congo, dove ci sono multinazionali maltesi, cinesi e svizzere coinvolte in cause legali internazionali per lo sfruttamento dei minori. Se aggiungiamo anche questo problema, di cui poco si dice, parliamo di batterie che nel loro ciclo di vita complessivo, dall’estrazione allo smaltimento, non hanno niente di ecologico. Al momento, i materiali usati, i problemi etici e quelli geopolitici – litio e cobalto sono molto concentrati in pochi luoghi del mondo – fanno sì che l’estrazione di questi minerali abbia un impatto terribile di tipo sociale e sull’ambiente. Certo, può essere che nel giro di qualche anno le batterie cambino… Fatto sta, però, che se l’auto tradizionale non è ecologica, non è che quella elettrica lo sia…
Affinché tutti questi aspetti, a partire da quello etico e ambientale, migliorino, che cosa è auspicabile si faccia? Per esempio che gli Stati incentivino la diffusione dell’auto elettrica così che le aziende abbiano maggiori risorse per sviluppare tecnologie più virtuose per una mobilità più ecologica?
Sarebbe la via ideale. Partiamo però da una premessa: l’auto elettrica è pur sempre un’auto e l’auto in sé è già meno ecologica di un’auto… che non c’è. Noi dovremmo puntare su centri urbani più adatti alla vita urbana di una collettività coesa e con buona vita sociale. È il concetto della 15-minutes City, cioè della “Città in 15 minuti”, che si basa sulla possibilità, per ogni cittadino, di avere tutti i servizi di cui necessita ad una distanza massima di 15 minuti in bicicletta o a piedi. In quel contesto ideale l’auto non serve. Per cui è chiaro che la mobilità elettrica è un miglioramento rispetto a quella a combustibili fossili. Se poi gli Stati, come da un lato stanno già facendo, incentivano la mobilità elettrica e se insieme – ed è la cosa più difficile – stabilissero regole chiare di trasparenza dell’intero processo, le cose migliorerebbero. Prendiamo Renault, che è partecipata dallo Stato francese, oppure Volkswagen che è praticamente controllata dallo Stato tedesco: lo Stato tedesco, che vuole elettrificare la mobilità in Germania, è un soggetto che ha la forza di garantire la trasparenza dell’intera filiera, dall’estrazione delle terre rare alla produzione delle vetture?; oppure ha interessi che vanno contro gli interessi economici nazionali? Qui è la difficoltà. Se ci fosse una specie di Cop 26 per la filiera dell’elettrico, per cui garantire equità, eticità ed efficienza, si andrebbe bene. Ma noi in questo momento non sappiamo che fine faranno le batterie, non sappiamo bene da dove arrivano le materie prime e questa stessa tecnologia potrebbe essere presto superata.
Che fare, dunque?
Più che investire nell’auto elettrica come la vediamo adesso, chi può dovrebbe investire in una transizione tecnologica che porti verso l’idrogeno, come stanno facendo i piani di resilienza dell’Unione europea. Piani che portino verso la filiera dell’idrogeno.
Quando potremmo vedere le auto a idrogeno sulle nostre strade?
Tra una ventina d’anni, facendo una previsione ragionevole, se le cose andassero normalmente. Ma se i grandi soggetti istituzionali e produttivi si mettessero d’accordo, si potrebbe fare anche prima. Per l’idrogeno c’è un problema di filiera, che al momento non esiste. La tecnologia, invece, esiste perché Hyundai e Toyota fanno già auto ad idrogeno. Ma occorre la volontà politica di mettersi d’accordo affinché la filiera dell’idrogeno diventi diffusa al punto da sostituire gli attuali carburanti. E non è detto che questo succederà.
Giorgio Malavasi