Da una recente ricerca delle Acli emerge un gap enorme e assai più alto del previsto tra i Neet italiani e tedeschi. Il dato italiano, relativo ai ragazzi che non studiano, non fanno formazione e non lavorano (questo il significato dell’acronimo inglese) si assesta al 30%. Di buono c’è che è calato rispetto al 40% dello scorso anno. Ma è il dato tedesco ad aver destato preoccupazioni in Italia, poiché si assesta al 3% e denota la lunga strada ancora da percorrere.
Queste osservazioni sono state presentate dalla responsabile Dipartimento Studi e Ricerche delle Acli nazionali Paola Vacchina durante il suo intervento all’incontro nazionale di studi “Animare la città. Le Acli nelle periferie del lavoro e della convivenza”, che si è svolto dal 13 al 15 settembre a Trieste.
«Ci sono 200 mila posti di lavoro offerti dalle aziende a cui non si riesce a trovare una domanda, in particolare da parte di giovani italiani. Si chiama disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. Inoltre – continua Vacchina – c’è una questione che riguarda anche gli adulti ovvero il rimanere sul mercato del lavoro con le competenze rinnovate, che sono necessarie all’interno delle dinamiche molto rapide del mercato del lavoro».
Riformare i centri per l’impiego. E qui entra in ballo la riforma dei centri per l’impiego ma non basta, poiché servono interventi di riqualificazione, di formazione, l’aggiornare le proprie competenze.
In poche parole servono politiche attive del lavoro efficaci. «E non basta nemmeno maggior personale, servono anche più infrastrutture, connessioni di rete – chiosa Vacchina – tra i vari database di centri per l’impiego, Inps, Ministero del lavoro e dell’istruzione. Ma anche una rete sul territorio che metta insieme soggetti accreditati come agenzie interinali e i centri di formazione professionale».
Domanda e offerta di lavoro sono disallineate. E’ necessario anche un rafforzamento dell’infrastruttura formativa: «Ci sono troppi licei e anche istituti tecnici generalisti – spiega in aggiunta Paola Vacchina a GV a margine del suo intervento – e non c’è abbastanza istruzione tecnica superiore specifica che non riesce a formare un numero sufficiente di ragazzi, rispetto a quanti sarebbero richiesti dalle aziende. Poi sarebbe giusto introdurre il numero chiuso nei corsi universitari. Purtroppo in Italia non esiste la demografia professionale».
E infatti non è che possano tutti fare l’avvocato e nessuno l’operaio… «Bisogna fare una previsione seria di medio-periodo di quali figure professionali realisticamente servano. E finché non ci sono nuovi canali di formazione professionale in tal senso, non ce la faremo mai. E il problema – conclude Vacchina – va risolto subito non solo di per se stesso ma anche perché se la gente non lavora, non versa i contributi e nel lungo termine Inps rischia di non autosostenersi più».
Marco Monaco