Spesso entriamo in una logica che ci porta a pensare che il cristianesimo ci tolga qualcosa. Ma bisognerebbe ribaltare la domanda e chiedersi invece che cosa ci dia, in più, rispetto a chi non crede o dice di non credere.
Parla così il Patriarca Francesco ai ragazzi del post Cresima e ai giovani della Collaborazione di Jesolo-Cortellazzo incontrati questa sera. Facilmente riconoscibili, fra i tanti presenti, gli animatori che, per l’occasione, hanno indossato una felpa di colore rosso – segno della testimonianza – e con su scritto “Gratis accepistis, Gratis date” (vedi foto qui sotto).
Dopo una descrizione delle attività svolte, sono stati proprio i giovani a porre a mons. Moraglia alcune domande. Tra queste, perché devo credere? E come mai, il mondo di oggi, sembra voler andare avanti anche senza Gesù?
«Non tutti i ragazzi hanno avuto le opportunità e gli stimoli che avete avuto voi. La fede si gioca e si testimonia in un dialogo tra due poli: l’io individuale e la comunità. Una fede cresce e si conserva nella vita di una persona quando incontra questi due riferimenti», riflette il Patriarca, sottolineando l’importanza di trovare degli esempi, nella vita, che ci facciano comprendere per davvero che credere non diminuisce il nostro essere uomo o donna. «Non si è obbligati a credere. Quando si vuole compiere un atto personale – continua – e, in alcuni casi, controcorrente, lo puoi fare solo trovando una motivazione continua. E questo lo si può fare solo se si trova una comunità forte o una persona a cui ti ispiri».
Il rapporto con Dio non può essere un qualcosa di periferico ma al contrario, un rapporto che viene prima di ogni altra cosa. «Ciò che aiuta ad essere coerenti con il proprio essere cristiani – conclude il Vescovo di Venezia – è proprio il rapporto con Lui. Dobbiamo riscoprire la fede come rischio, come qualcosa che ci coinvolge; perché è proprio quando si rischia per Lui che si comprende meglio chi è Dio e chi siamo noi».
(con la collaborazione di Pierpaolo Biral)
Marta Gasparon