La cronaca degli ultimi giorni, con la tragica morte di una persona dopo l’ingestione di piante raccolte nel bosco, porta all’attenzione la necessità di prestare attenzione alle erbe spontanee che si raccolgono nei boschi e nei prati in questo periodo primaverile. Lo sfortunato 56enne di Calolziocorte, nel Lecchese, ha confuso il Tarassaco con una pianta velenosa.
«Credo che la vittima dell’incidente non fosse così esperta di piante edibili. Il Tarassaco è infatti abbastanza facile da riconoscere – afferma Gabriella Buffa, professore ordinario di botanica all’Università Ca’ Foscari –. L’unica specie di pianta che avrebbe potuto essere confusa con il Tarassaco è un tipo di lattuga spontanea, la Lactuca virosa, comunemente chiamata lattuga velenosa. Nella scelta delle piante da cogliere bisogna sempre fare attenzione, anche perché la raccolta di solito avviene prima della comparsa del fiore, quando le foglie hanno più proprietà. La sua assenza, però, aumenta la probabilità di errori nell’identificazione».
Come per i funghi, il consiglio è quello di rivolgersi a esperti. E, se non si è sicuri di quello che si sta raccogliendo, meglio lasciarlo in loco. Moltissime piante producono principi attivi, a partire dall’acido sialico che sta alla base della preparazione dell’Aspirina, ricavato dalla corteccia del Salice bianco. Anche la dose ha la sua importanza e la Belladonna – pianta dal frutto molto tossico – nel Rinascimento e a piccolissime dosi era usata per dilatare le pupille delle donne per motivi estetici, motivo per il quale ha preso quel nome.
«Lungo i nostri fossi cresce spontanea la Cicuta. Non è una pianta rara o difficile da trovare. Fortunatamente non assomiglia molto alle piante che vengono raccolte a scopo alimentare – continua l’esperta –. Ben più pericoloso è il Veratro bianco, presente nello stesso ambiente della Genziana maggiore, raccolta per insaporire le grappe. Sono piante molto simili, pertanto è facile confondersi».
Tra quelle per le quali si possono creare delle pericolose sviste c’è l’Aglio orsino, le cui foglie sono molto somiglianti a quelle del velenoso Colchico. Una differenza consiste nel periodo di crescita, che per il primo avviene in primavera, mentre per il secondo in autunno. Ogni anno si registrano delle ospedalizzazioni per questo errore. E sempre il Colchico, ma questa volta nell’ambito del suo fiore, è scambiato per Zafferano. Anche in questo caso una delle differenze principali risiede nel periodo di crescita: lo Zafferano è primaverile, il Colchico autunnale. Inoltre quest’ultimo possiede 6 stami nel fiore, mentre lo Zafferano ne ha soltanto 3.
Ricapitolando, dunque, non bisogna raccogliere e mangiare piante che non si conoscono alla perfezione, pena una corsa all’Ospedale. Se non peggio.
Maria Giovanna Romanelli